VI domenica del tempo ordinario

Ci siamo lasciati domenica scorsa sulle rive del lago di Gennesaret, pieni di ammirazione e di stupore per una pesca così sovrabbondante che le reti stavano per spezzarsi e le barche per affondare.

Era così terminata in una gioia insperata una delle tante notti insonni, immagine dei nostri periodi bui segnati dalla malattia, dalla solitudine, dal dolore, dall’abbandono. Notti nelle quali abbiamo gridato “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”, senza ottenere risposta.

Quante volte abbiamo gettato le reti senza ottenere nulla, eccetto il peccato e la morte, il dolore e la stanchezza. La potenza, la bellezza, il sapere, hanno brillato un attimo fra le nostre reti, ma sono ricadute nell’acqua.

Eppure l’incontro con Cristo è stato per ciascuno di noi il mattino della pesca miracolosa quando abbiamo ricominciato a sperare nella felicità.

Di lì a poco, infatti, dalle rive del lago, il Maestro avrebbe proclamato il “decalogo della felicità”, il vangelo delle Beatitudini nelle quali, come dice l’aggettivo beati, è racchiuso il segreto della felicità, il breviario della gioia.

A differenza di Matteo che inizia con le Beatitudini il discorso della montagna, Luca colloca questo testo in un luogo pianeggiante. Dio scende tra gli uomini, si immerge nella folla di chi ha fame e sete di verità e offre la sua Parola.

Gesù con le beatitudini non ha fatto altro che presentare se stesso e il cammino che intendeva seguire, con tutti i motivi che portano alla vera gioia.

È lui il povero per eccellenza, l’affamato, colui che piange per gli altri, il perseguitato; ed è lui che più di tutti si sente beato.

La sua povertà non è quella di tipo economico, ma è quel processo di svuotamento che ha portato Gesù dalle altezze dell’onnipotenza divina, all’umiliazione radicale della croce.

Lungo questo cammino Gesù si riconosce povero, ma anche beato, perché è certo di godere sempre della presenza instancabilmente affettuosa del Padre.
Per questo può dire ai discepoli: “Beati voi poveri”.

Povertà e beatitudine possono stare insieme solo se si guarda a Gesù, alla sua povertà e alla sua gioia. Solo alla luce dello scandalo della croce lo scandalo della povertà può convertirsi in beatitudine.

Proprio per questa capacità di credere e di sperare si rende possibile già ora la gioia, gioia paradossale ma vera, gioia del povero che confida solo in Dio.

Lo abbiamo annunciato con la prima lettura: “Beato l’uomo che confida nel Signore e il Signore è sua fiducia”.

Dalle beatitudini si passa poi alle quattro espressioni che seguono: “Guai a voi”. Dobbiamo confessare che queste parole ci bruciano sulla pelle. Noi la fame non sappiamo che cosa sia. E il ridere lo conosciamo anche troppo: Siamo abituati a muoverci in negozi ben forniti, in compagnia di gente che sta bene.
Saremo dunque anche noi tra i maledetti di cui parla Gesù?

Anche in questo caso è opportuno fare un po’ di chiarezza. Diciamo subito che queste espressioni di Gesù, più che maledizioni (Gesù non vuole maledire nessuno), sono constatazioni.

“Come siete tristi”, ci vuole dire Gesù, “voi che siete chiusi dentro il vostro benessere e i vostri rituali di persone soddisfatte. “Guardatevi dentro, interrogatevi con sincerità. Ha ragione il profeta Geremia quando dice che dietro tante immagini di benessere si nasconde un mondo arido, pieno di salsedine e di siccità”.

Sono constatazioni, sono dunque le parole di Gesù e, al tempo stesso, una messa in guardia con la forza che è propria del linguaggio profetico.

Gesù ci educa a stare attenti, perché i beni possono falsare la visione della vita e nasconderci la verità fondamentale dell’esistenza.

Rassicurati, illusi e spesso storditi dalle nostre certezze e dalle soddisfazioni del possesso, non ci accorgiamo più della povertà creaturale. Di quella povertà che è costituita anzitutto dalla finitezza del tempo, dalla consapevolezza della morte e anche dall’esperienza umiliante del peccato. Le ricchezze possono rappresentare un pericolo perché bloccano ogni disponibilità ad aprirsi ai doni di Dio. Se uno crede d’aver tutto, che interesse può avere per il regno di cui parla il vangelo?

È stata l’esperienza di Paolo che, da attento osservante della Legge e persecutore dei cristiani, si ritrova ad essere apostolo di Cristo, con l’esperienza travolgente dell’incontro con Gesù sulla via di Damasco. Scrivendo ai Corinzi, che avevano dubbi sulla resurrezione, Paolo rinnova la sua fede in una persona viva, nel Risorto dai morti, primizia di coloro che sono morti, perché tutti abbiamo vita in Lui. Paolo si è ritrovato povero, a terra, accecato, per scoprire la ricchezza che viene dalla Luce di Cristo.

È l’esperienza di chi, come albero piantato lungo i corsi d’acqua, riceve la Vita che viene da Dio, per portare frutto ed essere beato.

Per trovare il segreto delle beatitudini, bisogna trovare il cammino della povertà: “Beati voi poveri”. Vuol dire stare dalla parte dei poveri rendendo credibile la parola che Gesù ha riservato per loro. Bisogna scommettere su un’altra logica, quella secondo cui chi perde vince, quando si è uniti a Cristo e si è certi che il Padre ci ama.

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