V domenica di Pasqua
Le parole che ascoltiamo nella V domenica di Pasqua sono un sigillo ed una promessa. Sono tratte dall’ultimo discorso di Gesù contenuto nel quarto Vangelo; sono parole che preparano i discepoli all’allontanarsi del Maestro; sono le parole prima della passione, le parole prima della morte, sono uno squarcio nelle profondità stesse del cuore di Dio. Sono parole che preparano ad una separazione e intravedono il vuoto di una partenza violenta. I discepoli provano, infatti, turbamento (Gv 14,1), tristezza, dolore (Gv 16,22). Sperimentano la pesantezza del vuoto e della separazione; assaporano il disorientamento che vive chi perde i propri punti di riferimento. Il vuoto, infatti, pesa: non è leggero ma greve. Ma, Egli, il Risorto, il Vivente, il Presente, mostra che il vuoto può generare vita: il vuoto può diventare il luogo della fede e della interiorità. Solo quando c’è vuoto, c’è possibilità di riempimento: l’assenza è un elemento positivo nella vita di fede: il vuoto è il luogo dove la libertà di Dio può esprimersi, facendo sviluppare la libertà dell’uomo. Se sei troppo pieno – di te, delle tue convinzioni, delle tue idee, delle cose che hai capito di Lui – Lui non può parlarti. Se hai già le risposte, Egli non potrà rivolgerti la sua Parola. Se hai già tutto, cos’altro potresti ricevere?
A volte, poi, il vuoto va cercato.
Non è un caso, infatti, che il vangelo indichi il portare frutto come conseguenza di un’opera di potatura. I nostri cammini di fede sono, in realtà, all’insegna del meno, non del più; crescono sulla linea del taglio, non su quella dell’accrescimento. La potatura è opera del Padre: più si è sfrondati, più si porta frutto. È lo stesso processo che compie lo scultore: toglie il troppo per far emergere la statua nascosta nel masso informe.
La bellezza fiorisce dall’impoverimento, dalla non-resistenza a perdere, dalla disponibilità a lasciar andare idee, risentimenti, sentimenti, attese, pretese, convinzioni…
È così la fede: quando accade che accogliamo una qualche forma di spoliazione e di impoverimento, lì allora si rivela una ricchezza nascosta. Le cose di prima ci appaiono diverse: quando facciamo vuoto nelle cose che pensavamo di aver capito e compreso, ecco allora sorgere un senso nuovo, un significato inatteso.
Dove tutto sembrava fermo, qualcosa di nuovo accade.
Dove dicevamo fine, ecco nascere un nuovo inizio.
E mentre le cose cambiano, e ciò che prima sembrava inoppugnabile e definitivo si mostra passeggero ed effimero, ecco emergere ciò che veramente conta.
Le potature non riguardano mai le radici. Esse sono nel terreno: da lì prendono energia, forza e vita. Nel terreno, esse rimangono.
Rimanere. Questo verbo, ripetuto varie volte nella odierna pagina evangelica, questo verbo racchiude un progetto, una scommessa, una chiamata, un dono. Rimanere l’uno nell’Altro. Questo reciproco dimorare è la promessa che oggi il Signore consegna. La scommessa più importante e più scandalosa della vita. Sì, scandalosa, perché accettando di rimanere in Lui, tu stai ammettendo che nessuno può considerarsi autosufficiente. Tutta la nostra vita è attraversata da una tensione fondamentale: desiderare una vita piena, intensa, grande. Siamo chiamati alla vita ma abbiamo bisogno degli altri per sciogliere le catene che ci impediscono di realizzare questa pienezza di vita. Abbiamo bisogno di Dio. Sei chiamato ad essere un cercatore di Dio, un mendicante di Dio.
Rimanere l’uno nell’Altro significa essere abbastanza forti per ammettere di essere deboli, bisognosi. La vita non è una cosa che possediamo: è un dono che ci viene dato, da donare a nostra volta. In questo consiste il paradosso della nostra fede, del cristianesimo: se vogliamo essere vivi nella maniera più autentica, allora possiamo, e forse dobbiamo, ammettere di dover perdere la nostra vita e la nostra autosufficienza per poter vivere veramente.
Per vivere, dobbiamo morire.
Per fiorire, serve la potatura.
Per far emergere la statua, serve lo scalpellino.
E questo modo di intendere la vita è un vero e proprio atto di coraggio: ed il coraggio è una contraddizione in termini perché equivale ad un forte desiderio di vivere che prende la disponibilità a rinunciare a tutto, ma proprio tutto, per l’altro, fino a donare la nostra vita. Oggi il Signore ti chiede che la tua vita prenda la forma della Sua vita. Ti chiede, se vuoi, che della tua vita, delle tue esigenze, delle tue aspettative, dei tuoi progetti Lui ne diventi il riferimento imprescindibile. Che Lui diventi il tutto. Anche quando questo costerà o non lo capirai del tutto. Ti chiede di scegliere se, per il desiderio di vivere in pienezza, vuoi pensare, agire e decidere non più per un personale tornaconto ma per una comunione di vita e di interessi con Lui.
Questo è il comandamento, l’essenza della legge, di tutta la nostra fede: riconoscersi poveri, incompleti per essere riempiti e sostenuti dallo Spirito, datore di vita.
Lasciarsi amare per essere capaci di amare, Dio, i fratelli, le sorelle.
In questo – e solo in questo – il Padre è glorificato.
Scarica Foglietto Avvisi Settimanale
Stampa Articolo