III domenica di Pasqua

Nei racconti delle apparizioni del Risorto, alla paura iniziale succede la gioia. La prima è associata a chiusura, ripiegamento e buio. La seconda alla presenza innegabile. Così innegabile per loro che sentono il bisogno di plasmare la loro certezza in un racconto che – infrangendo tutte le leggi della fisica – presenta il Risorto nell’atto di mangiare, come se di un essere corporeo si trattasse. Era questo il loro modo di insistere sull’intensità con cui percepivano la sua presenza.
Anche noi siamo stati invitati a passare dalla paura alla gioia. Da qualcosa che abbiamo (o possiamo avere: paura) a quello che siamo veramente (gioia, godimento).
Il fatto che Gesù abbia mangiato un pezzo di pesce poteva essere una prova forte per i discepoli, ma non per i lettori del Vangelo, che dovevano compiere un nuovo atto di fede: credere a ciò che Luca ci racconta. Per questo Luca aggiunge un breve discorso di Gesù rivolto a tutti noi: in esso non intende dimostrare nulla, ma spiegare il significato della sua passione, morte e risurrezione. E l’unico modo è aprire la nostra comprensione per capire le Scritture. Attraverso di esse, attraverso quelle annunciate da Mosè, dai profeti e dai salmi, viene illuminato il mistero della sua morte, che è per noi causa di perdono e di salvezza.
Le ultime parole di Gesù annunciano il futuro: “Nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni”. La frase finale “di questo siete testimoni” sembra rivolta a noi, dopo venti secoli. Siamo testimoni della diffusione del Vangelo tra persone che, come dice la prima lettera di Pietro, “lo amano senza averlo visto”. Questa è la migliore prova della risurrezione di Gesù.

Signore Gesù, ti chiedo, di aiutarmi a sentirmi inviato, un inviato felice perché ti annuncio, Signore della vita.

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