XXIV domenica del tempo ordinario

Quando dopo il peccato di idolatria – il Vitello d’oro (cf Es 32,1-6), Javhé rinnova l’Alleanza con il Popolo eletto, si dichiara a Mosè così: «Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato […]» (Es 33,6ss).

Dunque: chi è Dio? Colui che perdona: lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà.

E chi è il peccatore? Ce lo dice oggi la prima lettura: “Colui che rancore e ira li porta dentro”.

Carissimi, siamo uomini e quindi siamo tutti peccatori: perciò rancore e ira ce li abbiamo dentro tutti; ma, quali figli di Dio, abbiamo in noi in virtù del battesimo la stessa vita di Dio.

È questo il messaggio di san Paolo nella sua Lettera ai Romani di cui leggiamo nell’odierna Liturgia pochi ma significativi versetti: partecipi del “Battesimo di Cristo” (cioè, della sua morte e risurrezione), abbiamo in noi la vita divina.

Davanti alla domanda di Pietro, ovvero a quante volte perdonare al fratello che mi fa torto, il Signore avrebbe potuto dire semplicemente: «Sempre!». Invece no. E rilancia: «Settanta volte sette».

“Sette” è il numero di Dio: il numero del compimento, della pienezza. Settimo è il giorno del riposo, della pace e del silenzio che la liturgia pasquale ci ricorda preparare l’alba della Resurrezione dell’ottavo Giorno.

Gesù allora al “quanto perdonare?” di Pietro, aggiunge alla risposta anche il “come perdonare”: come Dio!

Dio, che conserva il suo amore per mille generazioni superando di gran lunga il nostro possibile “settanta volte sette”; ma si accontenta di questo “piccolo” traguardo, “settanta volte sette”, che con l’aiuto della sua grazia è a noi possibile.

L’Altissimo gradisce il nostro impegno e ogni nostro buon proposito nel perdonare il fratello che può averci ferito, ma senza di Lui è solo sforzo umano, e dura poco.

Il perdono è un caposaldo della nostra fede: ma è innanzitutto opera della grazia, che ci chiede docilità e corresponsabilità per agire in noi e attraverso di noi.

Il perdono di Dio che siamo abilitati ad esercitare in quanto figli, profuma di eterno. Ricordate infatti le parole rivolte da Gesù proprio allo stesso Pietro qualche domenica fa? «A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli» (Mt 16, 19). Pietro: il medesimo interlocutore odierno di Gesù. E, rispondere a Pietro, è rispondere alla Chiesa: a noi!

(Domenica scorsa queste stesse il Maestro le ha rivolte proprio ai suoi discepoli: a noi!).

La parabola con cui continua il discorso Gesù, è animata da molti personaggi: il re-il padrone, il servo a lui debitore, il compagno del servo, i compagni di entrambi. Il primo sappiamo essere Dio Padre che al nostro grido di pietà, “cancella tutte le nostre colpe” (cf Salmo responsoriale).

Il servo malvagio invece ottenuta misericordia già dimentica i benefici del padrone e, trovato il suo compagno (significativa questa definizione: non un suo servo o subalterno, ma un compagno, uno che cammina con lui, un suo pari) che aveva un debito con lui lo percuote, lo denuncia e lo fa imprigionare.

Ma la nostra attenzione è anche sui compagni – di entrambi in fondo – definiti nel Vangelo: molto dispiaciuti per l’accaduto.

Ecco allora davanti ai nostri occhi non soltanto il peccato, ma anche le sue conseguenze (la vendetta, il rancore, la collera ecc.), che hanno sempre una ripercussione sociale.

Come il perdono genera profumo di eternità già qui e ora, il peccato invece produce odore di morte: il dispiacere, la tristezza…

Ma nel caso che ci presenta Gesù, con molta sapienza i compagni si rivolgono al padrone perché intervenga, interrompendo così l’odore sgradevole che il peccato genera. Quanta mormorazione altrimenti poteva nascere tra loro: «Hai visto cosa ha fatto quello con quell’altro?», e discorsi simili.

Quanti insegnamenti ci dona oggi la Parola, fratelli e sorelle!

Primo, accogliere con gioia e fiducia piena il perdono di Dio: lasciare che lui cancelli tutti i nostri peccati.

Secondo, trasmettere questa gioia perdonando il prossimo come Dio, cioè di vero cuore.

Terzo, è di essere veramente dispiaciuti, mai complici, del peccato altrui e affidare ogni causa a Dio nella preghiera; ma, quando è necessario farlo per porre fine a eventuali abusi, ricorrere senza indugio a chi per lui nella comunità detiene l’autorità (il vescovo, il parroco; il superiore per le comunità religiose), denunciando l’errore del fratello peccatore: anche questo è un atto di misericordia!

Quanto male nella società, come pure dentro la Chiesa, nelle nostre piccole o grandi comunità perché la debolezza di alcuni è stata coperta da tanta omertà, la fragilità da tanta indifferenza.

Non è un caso se la Santa Madre Chiesa ci fa iniziare ogni celebrazione eucaristica chiedendo perdono per tutti i nostri peccati, comprese le nostre omissioni (Confiteor).

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