III domenica di Pasqua
Il mistero della Pasqua di Gesù, la sua vita che vince la morte violenta che ha sofferto, è il centro della nostra fede di cristiani. Tanto che all’inizio della Chiesa per molto tempo non si celebravano altri “misteri”, altri momenti della vita di Gesù se non questo. Ancora oggi la liturgia ci aiuta a cogliere la grandezza di questo mistero con il lungo “tempo di Pasqua”, i cinquanta giorni che arrivano fino alla Pentecoste.
La prima parte di questo tempo è segnata dalle pagine dei vangeli che raccontano come i discepoli, poco a poco, hanno creduto che Gesù era veramente risorto. Non è stato per nulla facile per loro aprirsi a questo annuncio. La morte di Gesù e soprattutto il modo con cui era stato condannato e ucciso era per i discepoli una pietra molto più pesante di quella del suo sepolcro. Gesù era stato condannato dai capi della religione giudaica come un peccatore, un maledetto da Dio. Pilato, rappresentante del potere politico, pur percependo che non aveva commesso nessun crimine, ha accettato le pressioni di chi lo voleva togliere di mezzo. Un grande macigno aveva coperto una volta per tutte le speranza dei discepoli; li aveva portati a dimenticare che Gesù, annunciando la sua morte, diceva anche che sarebbe risuscitato il terzo giorno.
Il Vangelo di questa domenica ci permette di meditare ancora una volta su come si è fatta strada nei discepoli la fede in Gesù risorto: non è il frutto delle loro riflessioni o dei loro sforzi, ma la reazione stupita di fronte a Gesù che si fa di nuovo vicino alla loro vita (si manifestò), con parole e gesti profondamente umani.
Gesù di manifesta “di nuovo” ai discepoli, gli stessi ai quali si era manifestato la sera del giorno di Pasqua e poi otto giorni dopo, alla presenza di Tommaso (il vangelo di domenica scorsa). Avevo donato loro il suo Spirito, li aveva inviati alla missione. Perché c’è bisogno di un altro incontro? Perché sono tornati in Galilea e hanno ripreso il loro antico mestiere di pescatori? Dobbiamo considerare che il Vangelo non racconta i fatti secondo una logica storica, ma la logica della fede. È un modo per dirci che solo attraverso un processo lungo i discepoli hanno creduto in Gesù Risorto, hanno cambiato la loro vita e si sono dedicati totalmente alla missione che Egli ha loro affidato.
La prima reazione è quella di ritornare da dove erano venuti, la Galilea, alla vita di prima, che si sosteneva con il lavoro della pesca. Ma quella notte non hanno pescato nulla. Restano vuote le loro reti, come è vuoto il loro cuore. Sono ritornati a quello che erano prima, ma dopo l’esperienza straordinaria vissuta con Gesù quella vita è una rete vuota, che nulla può riempire. Quando stanno rientrando Gesù dalla riva chiede loro da mangiare: essi non lo riconoscono, la sua domanda non fa’ che mettere ancor più in luce il fallimento della pesca. Ma ecco un colpo di scena: quell’uomo non solo chiede, ma anche ordina. Gettate ancora le reti, e troverete. E così avviene. Di fronte a questo evento il discepolo amato intuisce che quell’uomo sulla riva è Gesù, il Signore risorto, e lo comunica agli altri. In un attimo tutto il gruppo arriva da Gesù. Quando l’emozione è grande prende il posto delle parole: tutti sanno che è Gesù, nessuno gli chiede nulla. Gesù aveva preparato pani e pesci per loro e li invita a mangiare, si prende cura della loro fame. Mentre pane e pesce saziano la fame del corpo, il vedere Gesù risorto, lo stare con lui a mangiare riempie l’enorme vuoto che si era creato nel loro cuore con la sua morte. Straordinario questo Gesù Risorto che senza farsi riconoscere porta i discepoli a riconoscere il loro nulla e un attimo dopo li riempie di frutti; che prepara per loro un pasto e senza dire nulla crea di nuovo un clima di profonda e intima comunione di vita con loro, dopo la dispersione e la fuga. Con questo stesso stile Gesù risorto cammina sulla riva del nostro lago anche oggi. Sentendoci amati da lui possiamo riconoscerlo, sederci con lui a mangiare, percepire che la vita e la speranza rinascono in noi.
Dopo il pasto Gesù si rivolge a Pietro chiedendogli per tre volte se lo ama. L’ultima volta che avevano parlato era all’ultima cena. Pietro aveva promesso che avrebbe dato la sua vita per Gesù; Egli gli aveva predetto che lo avrebbe rinnegato tre volte. Come di fatto avvenne. Ora Gesù chiede per tre volte l’amore di Pietro. Lui risponde in modo molto più dimesso, sa bene che non ha mantenuto la promessa fatta nel cenacolo: risponde sempre appoggiandosi non a quello che lui stesso sa ma a quello che sa Gesù (tu lo sai…). Alla terza domanda risponde addolorato, non può non ricordare le tre volte che ha dichiarato di non conoscere Gesù. Ad ogni risposta di Pietro Gesù fa seguire l’ordine di prendersi cura delle pecore di Gesù. Il buon pastore ha concluso la sua missione sulla terra e chiede a Pietro di portarla avanti in nome suo: gli agnelli sono di Gesù, hanno bisogno di qualcuno che si prenda cura di loro. Gesù chiede questo proprio a colui che lo ha rinnegato, ma che ora dichiara di voler bene a Gesù. La missione di Pietro non si fonda sulla sua sicurezza ma sull’umiltà di accettare il perdono di Gesù e di ricominciare con Lui, ricominciare dall’amore per Lui. Sarà questo amore che porterà Pietro dove aveva promesso di arrivare, fino a dare la vita per Gesù. Con questo amore potrà continuare a seguirlo, secondo l’ultima parola che Gesù pronuncia nel Vangelo di Giovanni.
Gesù affida a Pietro una missione personale e particolare. Ma questo dialogo dice qualcosa per la vita di ognuno di noi, che vogliamo vivere come discepoli e discepole di Gesù. A ciascuno di noi Gesù rivolge questa domanda: mi ami tu? Lo fa perché è disposto a ricominciare una storia di amicizia profonda dopo il nostro peccato, dopo che rinneghiamo di conoscere Gesù. Se non ci chiede di pascere le sue pecore, ci chiede almeno di prenderci cura della nostra fede e di seguirlo fino al dono di noi stessi.
Con la Pasqua non solo risorge Gesù: risorge anche la nostra fiducia, la nostra disponibilità a seguirlo sulla stessa strada che Lui ha percorso, la strada che porta alla vita.
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