Domenica di Pasqua – Risurrezione del Signore
Le giornate esasperanti del dolore e della passione di Cristo hanno oggi il loro epilogo glorioso, con l’augurio che gloriosa possa diventare qualsiasi croce siamo costretti a portare noi stessi nella nostra vita. La croce infatti non ha avuto in Gesù l’ultima parola e neppure il sepolcro ha chiuso ogni discussione: Gesù è risuscitato, è passato dalla morte alla vita perché noi avessimo la vita per sempre. Se l’uomo in ogni caso è chiamato a vivere in pienezza, Gesù Cristo gli ha dato ragioni di vivere per sempre. Cosa dire di questo evento così sconvolgente e unico nella nostra storia, che è la resurrezione di Gesù dai morti?
“Se Cristo non è risuscitato dai morti, vana è la nostra predicazione, vana è anche la vostra fede. Noi poi risultiamo falsi testimoni di Dio… Ora invece Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti (1Cor 15, 14 – 15 – 20).
A parlare in questi termini è l’apostolo Paolo, inizialmente persecutore e nemico acerrimo del cristianesimo e dei suoi rappresentanti, che in un secondo momento cambia idea radicalmente in seguito a un’esperienza di incontro con Cristo.
Parla da uomo convertito, che ha preso coscienza del vangelo e dello stesso Gesù Cristo, dopo un lunghissimo periodo di efferata persecuzione dei cristiani e dice espressamente che la sua testimonianza è vera: Cristo è davvero risorto. Se così non fosse stato, vana sarebbe stata la sua conversione, inane e melense la sua testimonianza e inutile la sua predicazione nel nome dello stesso Gesù. Che un persecutore della Chiesa divenuto suo sostenitore annunci Gesù è la sua risurrezione dai morti è segno che egli stesso ha fatto esperienza del Risorto e che ha avuto valide ragioni per parlarne; la dottrina con cui illumina i credenti delle varie comunità non sarebbe poi possibile né fondata se Gesù non fosse risorto. Per quale motivo Paolo avrebbe dovuto abbandonare non senza pericoli e difficoltà una posizione a cui era molto legato, come quella del Giudaismo, se non avesse avuto ragioni di annunciare categoricamente il Cristo che lo aveva avvinto e coinvolto? E d’altra parte che motivo avrebbero avuto i primi apostoli e i discepoli di annunciare una favola o un mito, o una semplice invenzione esposti a continuo ludibrio e soprattutto alla persecuzione romana? La testimonianza degli apostoli che, allarmati da Maria di Magdala, corrono al sepolcro e vedono la tomba vuota con i particolari del masso ribaltato, le bende per terra e il sudario ben piegato di lato non dovrebbero giustificare alcun dubbio: non può essersi trattato di una sottrazione di cadavere e neppure della semplice riabilitazione di un cadavere a seguito di un errore di valutazione cerebrale: Cristo è risuscitato dai morti, ossia dalla dimensione di fine e di nullificazione ed è passato autorevolmente, di sua iniziativa, alla vita. Il fatto poi che il cristianesimo, dai tempi di Costantino (313 a.C.) sia stata una religione approvata e riconosciuta e che abbia fondato le radici del continente europeo deve necessariamente presupporre che Gesù abbia effettuato davvero questo passaggio dalla morte alla vita che noi chiamiamo Pasqua (= passaggio). Come gli Israeliti, schiavi per tanti anni in Egitto, per opera di Mosè e di Aronne hanno effettuato il passaggio dall’oppressione alla libertà, così Gesù, percosso, umiliato, vilipeso e morto e sepolto, ha divelto il sepolcro per passare dalla luce alle tenebre, dalla morte alla vita. E con questo passaggio ha liberato parimenti noi dai vincoli della morte, avendoci prima riscattati dal peccato e ci ha elevati alla vita e alla dignità. Che Cristo sia resuscitato è anche per noi ragione per poter credere e sperare nella vita, poiché secondo le sue promesse “chi crede in lui, anche se muore vivrà”(Gv 11, 25). Siamo anche noi rivestiti della sua vita e chiamati a vivere per sempre, anche al di la’ del nostro tempo terreno, perché ci si dischiude una dimensione di eternità. Goethe diceva che la vita è l’infanzia della nostra immortalità; noi diciamo che la vita è l’infanzia della nostra eternità, poiché Cristo risorto non muore più e la morte non ha più potere su di lui e anche noi siamo chiamati a vivere per sempre con lui morendo tuttavia al peccato per sempre (Rm 6, 9 – 11). Solo il peccato adesso è infatti l’unico protrarsi della morte e la volontà di vanificare la resurrezione di Cristo. Solo la lontananza da Dio, cioè appunto il peccato e la presunzione di idolatrare noi stessi può condurci alla morte per nostra stessa deliberazione. Il peccato è la realtà che si oppone alla vita, il rifiuto della vita stessa perché in esso c’è la volontà di rendere inutile la morte e la resurrezione di Cristo.
Se siamo risorti con Cristo, invece, cerchiamo le cose di lassù (Col 3, 1 – 3) già in questa stessa vita, dando preferenza all’umiltà che conduce alla fede, quindi all’amore, alle opere di edificazione vicendevole e alla solidarietà, mettendo la parte la concupiscienza, l’egoismo e il falso orgoglio che sono all’origine di ogni realtà peccaminosa. Secondo l’esortazione di Paolo, nel vivere la vita occorre fuggire il male con orrore e respingere ogni sorta di male facendo il bene; piegarsi alle cose umili e semplici fuggendo l’orgoglio e la vanagloria. La semplicità di vita diventi antitesi alla ricchezza smodata a tutti i costi. La fede e la speranza siano di vero contrasto al dubbio e alla disperazione o alla fuga verso illusioni e vane certezze. Siamo testimoni del risorto sulle orme di Paolo e degli altri apostoli attraverso la testimonianza e la coerenza della nostra appartenenza a Cristo Signore e la realtà della resurrezione sarà così nuovo criterio di vita per sempre.
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