XXXI domenica del tempo ordinario

Le trincee sono il luogo simbolo della prima guerra mondiale, la Grande Guerra come veniva chiamata allora, non sapendo che ce ne sarebbe stata purtroppo un’altra che avrebbe costretto a ribattezzare storicamente quella finita 100 anni fa come “prima”.

La Grande Guerra, che si conclude per noi Italiani il 4 novembre del 1918, è stata terribile non solo perché coinvolgeva tutte le principali nazioni del mondo, ma per la violenza e la distruzione che mai si erano viste prima di allora, dovute soprattutto al massiccio impiego di nuove armi tecnologiche sempre più sofisticate e potenti. L’uomo con le nuove armi era diventato sempre più piccolo e vulnerabile, ed era costretto sempre più a nascondersi nelle trincee, luoghi che sembravano anticipare ancora in vita la propria sepoltura.

La trincea è sporca e angusta, e segna ancora più profondamente la terra e i cuori di chi combatte. Ancora oggi è possibile visitarne qualcuna sui monti italiani dove si sono svolte le battaglie più cruente, anche se sono ormai un pallido ricordo del posto terribile che erano.

Essere in trincea significa davvero considerare l’altro come nemico che dalla sua trincea come noi non si muove. Lo spazio tra le trincee nemiche diventa infinito, luogo di morte e distruzione.

La trincea rischia di essere reale anche oggi per noi, anche se siamo distanti 100 anni dalla prima guerra mondiale. Ci sono ancora tantissime guerre nel mondo, e come dice papa Francesco, la terza guerra mondiale si sta combattendo già, anche se a pezzi ma non meno terribile e mortale per l’umanità. Ci sono anche le guerre che ci facciamo tra di noi, in famiglia, nella comunità sociale e anche quella ecclesiale. Scaviamo ancora tante trincee dove ci mettiamo dentro con le nostre idee, pregiudizi, paure…

Gesù è venuto a toglierci dalla trincea e a far smettere ogni guerra, sia mondiale che personale. La guerra ha come primissima vittima proprio Dio stesso e tutti i suoi comandamenti.

Il personaggio che si avvicina a Gesù con la domanda “quale è il primo di tutti i comandamenti”, è guidato da una mentalità da trincea, vuole mettere alla prova Gesù, non lo vuole amare. Lo comprendiamo proprio dal contesto “belligerante” del racconto, dove Gesù si mostra nemico di una idea sbagliata di Dio, di vita religiosa e di preghiera. Si sta consumando quello scontro con i capi religiosi che lo porterà a “perdere” la battaglia sulla croce, ma che in realtà farà vincere l’amore vero di Dio.

Quale è il primo domandamento per Gesù? È come il secondo che diventa talmente unito da essere un unico comandamento: amare Dio e il prossimo come se stessi. Anche il tizio che lo interroga riconosce che questo è vero, perché glielo dice la ragione stessa delle Scritture che continuamente portavano a Dio e al prossimo in maniera unitaria. Ma non basta saperlo con la testa, bisogna metterlo in pratica e farlo diventare vita concreta. Gesù gli dice “non sei lontano dal Regno di Dio”, per ricordargli appunto questo: la fede va tradotta in scelte di vita, altrimenti il Regno di Dio rimane lontano.

Gesù invita lui e anche noi a uscire dalle nostre trincee sapendo che l’altro nella sua trincea è come me e che posso amarlo come me stesso. Dio stesso non è nella sua trincea del cielo pronto a colpirci appena sbagliamo, ma è uscito, e con Gesù è sceso nella trincea umana per farlo a sua volta uscire, senza paura.

Nelle trincee ci si ripara dai colpi dei fucili ma non si può vivere per sempre. Nelle nostre trincee di egoismo e odio possiamo stare tranquilli per un po’, ma poi rischiamo di morire e di far morire Dio stesso nel nostro cuore. Papa Benedetto XV durante il conflitto definì la Grande Guerra una “inutile strage”. Celebrare quella inutile strage può tornare utile per noi oggi per comprendere che il Regno di Dio, Regno di pace, amore, fratellanza universale, perdono è vicino a noi, non è lontano. Basta ascoltare, credere e mettere in pratica il comandamento di Dio, il primo in assoluto che unisce Dio e l’uomo in un unico amore.

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