III domenica di Avvento
Come ben sappiamo, la terza domenica di Avvento, chiamata Gaudete (rallegratevi), è una specie di anticipo del Natale, ci aiuta a vivere ciò sia il rosaceo usato nella liturgia ma, soprattutto, ci aiutano le letture che ci vengono proposte questa domenica.
Cambia decisamente il tono e lo stile delle letture. Si percepisce una certa gioia, quasi euforica, un ottimismo ed un’apertura esplosiva verso la vita, basata sul vissuto, il salmo responsoriale, il Magnificat – che ricalca la seconda parte della prima lettura – ne è una prova eloquente. Ma non solo.
Il profeta, nella prima lettura, gioisce per l’assistenza dello Spirito del Signore, il quale mediante la consacrazione, fa sì che il profeta si senta spinto verso gli altri, diventando un portatore di lieto annuncio. Ma non si tratta di un’annuncio fatto solo di parole o men che meno di parole utopiche o platoniche. Il suo annuncio pieno di gioia – conseguenza della presenza dello Spirito – è concreto, è rivolto a situazioni concretissime ove i destinatari vivono diverse situazioni al limite dell’esistenza: miseri, persone dal cuore spezzato, schiavi, prigionieri, insomma, persone con poca speranza: ebbene, a questi si rivolge il profeta, a questi dedica tutta la sua energia ricevuta. Paolo, nella seconda lettura sembra continui l’idea della prima lettura, soprattutto quando invita (anche lui nelle “vesti” del profeta) a non spegnere lo Spirito e a non disprezzare le profezie. Ecco il binomio Spirito-profezia che porta alla gioia e alla serenità della vita.
Desideriamo, dunque, tutta questa energia che ci viene trasmessa attraverso questa parola di Dio, lasciamoci infiammare dallo Spirito e diventiamo anche noi segni della presenza di Dio in questo mondo, che quasi affonda nel buio della disperazione, bloccato quasi nella melma della situazione sanitaria. Quante persone, nei nostri giorni, sono al limite della disperazione! Quante altre non sanno a cosa aggrapparsi per trovare un briciolo di speranza. Anche se non lo sentiamo dire nelle notizie dei media, c’è un grido che risuona nel mondo: “Chi si fa portatore di speranza? Chi vuole collaborare con lo Spirito per diventare profeta della gioia del Signore?”. C’è urgente bisogno di annunciatori di liete notizie, di uomini e donne che provochino la luce nei cuori delle persone che sono al limite del soffocamento.
Il vangelo ci dice che è possibile diventare portatori di luce, di speranza. Il Battista, con il suo stile di vita sobrio e semplice, è stato e sarà sempre un testimone della luce, sottolineo con uno “stile di vita sobrio e semplice”. Sobrietà e semplicità ci fa diventare portatori di luce, non siamo noi la luce, ma possiamo diventare portatori di luce, così come una lampada fa sì che la luce possa splendere.
Ecco allora che questa terza domenica di Avvento diventa una sfida per tutti noi che ascoltiamo la Parola di Dio e la prendiamo veramente sul serio, una sfida concreta e che prende di mira situazioni veramente attuali. Non c’è bisogno di fare cose straordinarie, ma di fare quelle semplici, magari addirittura banali, con un cuore colmo dello Spirito e con la gioia di testimoniare questa luce interiore, che si veda sul nostro volto e soprattutto nella nostra vita, con il coraggio di diventare riflessi della luce che tanti cercano con tutto il cuore e magari non riescono a trovare.
Quasi due mesi fa, nella parrocchia dove sono, è morta una giovane sposa e madre, di nome Maria. Non aveva ancora compiuto 31 anni. Questa giovane aveva diverse malattie che la consumavano da molto tempo. Circa tre anni fa aveva contratto anche un cancro nella zona del collo, morbo che pian-piano le aveva prodotto diverse metastasi e che alla fine l’ha portata alla morte. Per una pura coincidenza, il medico che l’ha seguita è una mia amica. Nè Maria, ne la dottoressa mi avevano mai detto nulla, ho saputo della situazione quest’anno, a luglio. Sono rimasto senza parole quando il medico, la sera che le ho dato la notizia della morte (Maria era stata trasferita in un centro hospice, in un’altra città) mi aveva riferito ciò che sto per dire: “Sai, durante la mia carriera medica di circa 30 anni ho visto moltissimi pazienti, che sono anche morti, ma non ricordo di aver incontrato una persona come Maria: era incredibile vederla come andava di stanza in stanza a visitare i malati (anche durante la pandemia) e con il suo sorriso e con le sue parole sempre poche, ma intense, riusciva a far venire il sorriso su tanti volti”. Ed ha aggiunto: “Maria è e rimane anche per me, come per molti che l’hanno incontrata, un esempio di luce!” Al funerale abbiamo ricevuto tantissimi altri messaggi, quasi tutti concentrandosi in questa: Maria è una luce! Per un’altra “strana” coincidenza, il bambino di Maria si chiama Luciano.
Dunque: è possibile diventare per gli altri la luce che illumina il buio della loro vita. Preghiamo lo Spirito di scendere su di noi, di raggiungere il nostro cuore e così diventiamo portatori di lieto annuncio di luce.
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