Battesimo del Signore

La festa di oggi, il Battesimo di Gesù, chiude il tempo natalizio. Domenica prossima incomincerà il tempo ordinario fino alla Quaresima.

Il vangelo di oggi ci presenta il Battesimo di Gesù. Gesù certamente è stato battezzato dal Battista. Per i primi cristiani questo era un episodio imbarazzante e scomodo, ma innegabile. Se avessero potuto toglierlo lo avrebbero fatto volentieri. E che era successo e non si poteva negare. Tanto è vero che i vangeli, ognuno a modo suo, cercano di addolcire l’episodio (Gv neppure lo riporta).
Le domande problematiche erano molte: “Ma Gesù è inferiore al Battista (visto che si è fatto battezzare)? Gesù ha peccato (visto che è andato come tutti i peccatori a farsi battezzare)? Gesù aveva bisogno di conversione (visto che il battesimo del Battista era per la conversione)?”.
Gesù si è fatto battezzare ma non ha mai battezzato. E lo stesso Gv 4,1-2 lo sottolinea. Quando Gesù sente che i farisei dicono che lui battezza e fa più discepoli del Battista, l’evangelista dice testualmente: “Sebbene non fosse Gesù in persona che battezzasse ma i suoi discepoli”. Questo vuol dire che il battesimo, come battesimo, perderà poi di rilevanza in Gesù. Per Gesù non sarà importante battezzare ma il perdono, la guarigione e la Buona Novella.
Quindi non è tanto importante il gesto ma il senso del gesto.

Se noi prendiamo il vangelo di Mt troviamo che il battesimo di Gesù si trova all’inizio e alla fine dell’attività di Gesù. Nel brano di oggi Gesù viene battezzato e quindi diventa manifestazione visibile del Padre in questo mondo. E le ultime parole di Gesù resuscitato saranno proprio: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo…” (Mt 28,16-20).
Cioè gli apostoli sono manifestazione visibile dell’amore di Dio e sono inviati a farla sperimentare ad ogni persona.

Nel vangelo di Mt appena Gesù entra in scena iniziano subito i problemi. Scrive infatti Mt: “Gesù dalla Galilea andò (lett. “venne”; gr. paraghinetai) al Giordano da Giovanni Battista per farsi battezzare” (Mt 3,13).
Mt adopera lo stesso verbo (Mt 3,1 e 3,13: paraghinetai) che ha adoperato per l’apparizione di Giovanni Battista. Con questo stratagemma letterario Mt indica che in Gesù c’è il prolungamento e il compimento dell’attività che ha già iniziato il Battista.
Questo vangelo ci presenta Gesù che va dal Battista a farsi battezzare. Ma perché Gesù va a farsi battezzare?
Il Battesimo è un simbolo di morte: è morte a quello che si è, che si è stati per accogliere una vita nuova. Anche per Gesù il battesimo è un simbolo di morte: non tanto per i suoi peccati o per il suo passato ma “morte” verso il futuro, cioè per essere fedele alla volontà del Padre di manifestare il suo volto d’amore.
Quindi, per il popolo era un simbolo di morte al passato: “Lascio, metto giù, seppellisco una condotta mortifera per prenderne una vitale”, per Gesù, invece, è morte al futuro: “Sono disposto a tutto per manifestare Chi sei Tu, Padre mio”.
Per noi il Battesimo è simbolo di vita: portiamo un bambino piccolo, la vita appena nata, e naturalmente facciamo l’associazione vita-battesimo.
Ma di per sé, il battesimo è un simbolo di morte. Cioè: per rinascere bisogna prima morire. Per avere bisogna prima lasciare. Per amare bisogna prima essere liberi. Per gioire bisogna prima essere in grado di vivere il dolore. Per rialzarsi bisogna prima accettare di essere caduti.

“Giovanni però voleva impedirglielo” (Mt 3,13). Gesù che va a farsi battezzare come se anche lui fosse bisognoso di conversione non è in linea con il Messia che il Battista ha annunciato, un Messia cioè forte, giustiziere, potente, castigatore, che non ha bisogno di niente e di nessuno.
Giovanni Battista allora protesta: “Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me'” (Mt 3,14).

“Ma Gesù gli rispose: “Lascia fare per ora, poiché conviene che adempiamo ogni giustizia”. ” (Mt 3,15).
Il termine “giustizia” sia nell’A.T. che nel N.T. ha il significato di fedeltà, di fedeltà all’Alleanza.
La giustizia di Dio consiste nella sua fedeltà all’alleanza. Anche se l’uomo può tradirla, Dio rimane fedele all’alleanza. E l’uomo è giusto quando è fedele a questa alleanza.
Quindi Gesù invita ad essere fedeli all’alleanza, cioè a compiere la volontà di Dio.

E qui Mt colloca un’espressione strana che si trova solo due volte nel vangelo di Mt: qui e alla fine delle tentazioni del deserto dove si dice che “il diavolo lo lasciò” (Mt 4,11; gr. tote afiesin auton).
Letteralmente infatti è: “Allora, egli (Giovanni Battista), lo lasciò” (Mt 3,15; gr. tote afiesin auton).
Non è un “lasciò fare” come a volte viene tradotto: cioè il Battista “lascia fare, acconsente” anche se non è proprio d’accordo che Gesù si faccia battezzare. Ma il Battista, come il diavolo, lo lasciò.
Cioè questa del Battista è la prima tentazione (il diavolo qui è il Battista). Gesù cioè deve rinunciare alle aspettative che la gente ha su di lui (tra cui anche il Battista). Il Messia annunciato dalla tradizione e dal Battista sarebbe stato subito riconosciuto, accolto e acclamato. Ma Gesù non è così! Gesù, invece, al contrario, dovrà proprio liberare il popolo da quest’idea del Messia: non un Messia potente ma un Messia d’amore, non di dominio ma di servizio.
Le persone si attaccano ferocemente alle loro idee e preferiscono vedere quello che vogliono vedere di te piuttosto che quello che tu sei davvero.
Due uomini si incontrano. Uno dice all’altro: “Henry, come sei cambiato! Eri tanto alto e adesso sei così basso! Eri così robusto e ora sei magrissimo! Eri tanto biondo e ora sei castano. Cosa ti è successo Henry?”. E l’altro risponde: “Non sono Henry, sono John!”. “Oddio Henry, hai cambiato anche nome”.
“Da quando ti sei sposato non sei più lo stesso”. Forse è sempre stato così, solo che tu volevi vedere quello che ti piaceva vedere. Solo che lui non era quello.
Questo perché ognuno vede non quello che è ma quello che vuole vedere.
Un giovane un giorno arrivò in una nuova città e chiese ad un vecchio: “Com’è la gente di questa città?”. E il vecchio: “Com’è la gente della città da cui vieni?”. “Orgogliosa, attaccabrighe, avara e ladra. Non vedevo l’ora di andarmene!”. “Anche questa”, disse il vecchio. Dopo un’ora arrivò un altro giovane e incontrò il solito vecchio e gli disse: “Com’è la gente di questa città?”. E il vecchio: “Com’è la gente della città da cui vieni?”. “Buona, gentile, dolce, solidale, sorridente: mi è dispiaciuto tanta lasciarla”. “Anche questa”, rispose il vecchio.

“Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua” (Mt 3,16). Gesù esce subito dalla morte.

“Ed ecco si aprirono i cieli” (Mt 3,16). I cieli sono la dimora di Dio.
Ma il verbo aprirsi (anoignimi) non è esattamente “aprirsi” (lo si vede meglio in Mc 1,11: schizo) ma svelare (quindi qualcosa di nascosto) aprire ciò che è chiuso a chiave.
Uno potrebbe dire: “Ma va beh, è la stessa cosa!”. E, invece, no! Innanzitutto perché Lc vuole fare un chiaro riferimento a Is 63,19: “Se tu squarciassi i cieli e discendessi” (e adesso proprio accade!), ma poi perché una cosa che si può aprire, poi si può anche richiudere. Ma una cosa che è lacerata o squarciata non si chiude più, non si ricompone più.
Cosa credevano a quel tempo, al tempo di Gesù? Credevano così: “Il Signore si è indignato per i peccati del nostro popolo e ha sigillato la sua dimora (i cieli sono la dimora di Dio)”. Cosa vuol dire quindi tutto questo? Che Dio non comunica più con il suo popolo.
Ma adesso con Gesù i cieli si aprono e non si chiuderanno mai più. Sono aperti per sempre. Dio ha smesso di offendersi o di ritirarsi per i nostri peccati; non fa l’offeso o l’arrabbiato perché noi siamo sempre gli stessi e non cambiamo mai. Lui rimane in attesa e in comunicazione e in dono d’amore con noi. Sempre.
In Lc 23,45 si dice che “il velo del tempo si squarciò nel mezzo”. Nel tempio c’era una porta con un velo enorme, lungo 25 metri che copriva una stanza vuota dove non c’era niente. In questa stanza vuota, una volta l’anno, entrava il sommo sacerdote per pronunziare il nome impronunciabile, il nome di Dio. In quella stanza, si credeva, c’era la gloria di Dio, la Sua presenza. Era un Dio nascosto, velato.
Gesù adesso rivela, fa vedere chi è Dio: Dio è amore. Dio è esclusivamente buono e vuole comunicare con gli uomini. Il Dio della religione dice: “Hai ucciso: meriti di morire! Hai peccato: non meriti Dio! Hai fatto un errore grosso: ritieniti indegno e peccatore! Hai tradito la sua fedeltà: sei fuori!”. Il Dio di Gesù dice: “Io sono l’amore. Sono qui per amarti. Io non sono qui per giudicarti ma per amarti. Il mio compito è solo questo. Puoi permetterlo? Puoi accettarlo?”. Gv 3,17 dirà: “Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui”.

“Ed egli vide lo Spirito di Dio” (Mt 3,16): l’articolo indica la totalità dello Spirito. Con lo Spirito di Dio si intende la pienezza dell’amore e dell’energia di Dio.

“Scendere come una colomba e venire sopra di lui” (Mt 3,16).
La colomba ha un duplice significato: 1. è il riferimento alla Genesi dove lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque (Gen 1,2). Gesù, quindi, è la nuova, vera e definitiva creazione voluta da Dio.
2. L’altro si rifà ad un proverbio: “L’amore della colomba al suo nido”. La colomba è fedele al suo nido originario, anche se gliene venisse fatto uno di nuovo. Quindi Gesù è il nido dello Spirito, è lì dove risiede la pienezza dell’amore di Dio.
Qui lo Spirito (pneuma) scende su Gesù. Alla fine del vangelo Gesù dirà: “”Padre nelle tue mani consegno il mio spirito (pneuma)”. Detto questo emise/lasciò lo Spirito (afiemi to pneuma)” (Mt 27,50). Allora: lo Spirito qui scende su Gesù e sta per tutta la sua vita. In croce Gesù riconsegna lo Spirito al Padre.
Gesù nei vangeli non muore: certo che è morto! Ma i vangeli mostrano che “emette” lo Spirito e mai dicono che Gesù morì. Tanto è vero che il verbo spirare, che per noi vuol dire anche morire, prima di Gesù non indicava mai la morte di una persona.
Il suo riconsegnarlo è un e-metterlo: da lui passa a noi. Cioè: la sua capacità d’amare passa, è comunicata, da lui a noi.
Ma dov’è che ritroviamo lo Spirito nella Bibbia? All’inizio della Bibbia, in Gen 1,2 si dice che “lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque”. Nella creazione l’uomo scende sulla terra (è creato) e nascono così la vita e la morte terrena. Adesso l’uomo, in Gesù, nel suo spirito, ritorna a Dio: la vita e la morte finiscono.
Cioè: in Gesù tu sei divino, tu sei eterno, tu sei senza fine. Con il primo principio della termodinamica potremo dire: “Tu ti trasformi ma rimani per sempre”. E passi dalla vita terrena alla vita divina. Nulla si perde; nulla è perso; tutto il bene e l’amore rimangono. L’amore, se è amore, rimane per sempre. La gioia, il bene, la compassione, la tenerezza, l’aiuto, la gratuità, la condivisione vera, la fratellanza, l’amicizia, il sostegno, ecc.: nulla di tutto questo andrà perso. Mai.

“Ed ecco una voce dal cielo che disse: “Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto”.” (Mt 3,17).
Il cielo indica la dimora divina.
Nella voce Mt fonde 3 testi dell’A.T.
1. Sal 2: “Questo è il Figlio mio” è l’intronizzazione del Messia. Gesù viene confermato da Dio quale Messia.
2. Gen 22: “L’amato” vuol dire il figlio unico, colui che eredita tutto, ed è un’allusione ad Isacco, il figlio che Abramo voleva sacrificare per compiacere a Dio.
3. Is 42: “In cui ho posto il mio compiacimento”, è una citazione di Is dove si vede l’attività del Messia voluto da Dio.
Quindi in Gesù si manifesta completamente e del tutto la volontà di Dio. Lui è il Figlio che assomiglia in tutto al Padre, Lui è l’Amato dal Padre, che eredita tutto dal Padre. Non si può, cioè, distinguere Gesù da Dio. Vedendo Gesù si comprenderà quindi chi è Dio.
Perciò non Gesù è come Dio, ma Dio è come Gesù (cioè: tu vedendo chi è Gesù, quello che fa’, quello che dice, quello che sente, capisci chi è Dio).
E il Dio di Gesù è molto diverso da quello che la tradizione si aspettava.

La voce non dice che Gesù è “amato”, ma “l’amato”. L’espressione “l’amato” (ò agapetos) indica l’erede, il prediletto: tutto lo Spirito è su Gesù. Si può essere sicuri quindi, vuol dire Mt, che guardando Gesù si vede Dio perché tutto lo Spirito risiede su di lui. Lui è “l’amato”, “l’immagine” di Dio, colui su cui lo Spirito di Dio è sceso.
E in Lc 23,47-48, nei versetti immediatamente successivi alla morte (“spirare”) di Gesù, è scritto: “Visto ciò che era accaduto, il centurione – che di certo non era un santo! – glorificava Dio: “Veramente quest’uomo era giusto”. Anche tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto”.
Guardando Gesù tu vedi veramente chi è Dio. In Gesù tu vedi Dio; Dio è come Gesù. Ciascuno di noi non solo è amato da Dio ma è “l’amato” di Dio. “L’amato” vuol dire l’unico, il prediletto, vuol dire: “Come te, nessun altro”.
Allora, amare Dio, che ci ama così, è accettarsi e amarsi, essere grati e orgogliosi di sé. Le persone hanno un concetto di amore a volte terribile. Dunque: uno non ama se stesso (si odia, si fa schifo, si disistima, ecc.) ma ama gli altri. Ma questo non è e non può essere amore cristiano, agape. Dio ama me ma io no! Io preferisco amare gli altri ma non me. Lo diceva perfino l’A.T.: “Ama il prossimo tuo come te stesso”, non “al posto di te stesso”.
Il N.T., invece, dirà molto di più: “Amati come Lui ti ha amato”: cioè sempre, senza condizioni, al di là di ciò che fai, di ciò che pensi, di ciò che non fai, di ciò che sei o che non sei.

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