XXXIII domenica del tempo ordinario
“Il talento della vita”
Siamo talmente concentrati alla ricerca del nostro talento che i professionisti del guadagno e dell’intrattenimento ne fanno addirittura degli spettacoli. La ricerca e la scoperta del “talento” che potrebbe albergare in ognuno di noi è, in alcuni casi, spasmodica, ossessionante. Non c’è più genitore che abbia un figlio “normale”: a sentir loro ogni figlio ha il suo “lato eccezionale”, talentuoso, da rivendicare e magari sbattere in faccia a chiunque osi solo paventare una normalità, una sana e salutare normalità! Sbaglio? Forse esagero, ma provate ad andare a vedere una partitella di pallone tra bambini a cui assistono i genitori, o meglio, andate a parlare con gli insegnati di piccoli ed adolescenti in merito alle reazioni dei genitori di fronte ad una insufficienza o il semplice paventare di bisogno di aiuto di uno scolaro che “non ce la fa”, sentirete “cose da turchi”, si sarebbe detto un tempo, ma i turchi non c’entrano niente! Eh si, la considerazione del “talento”, di cui oggi ci parla il Vangelo ha colpito, in maniera forte, l’immaginario umano, purtroppo non nel verso giusto.
Il Vangelo odierno Gesù ci parla di un uomo che affida i suoi beni ai servi, e per sottolineare l’importanza e la grandezza di questi beni usa la misura del talento, un lingotto di qualche chilo fatto di vari metalli preziosi (oro, argento, bronzo), usato ai tempi di Gesù per valutare la ricchezza di un regno o scambiare ricchezze fra regni e paesi. Un talento non poteva possederlo un uomo qualunque, un re od un imperatore sicuramente!
Gesù usa l’immagine del talento proprio per sottolineare l’enorme valore e l’immensa fiducia che Dio ripone negli uomini, che diventano i consegnatari che devono custodire e far fruttare la sua immensa ricchezza: la ricchezza è la vita che si deve accrescere sino alla vita eterna!
Il dono di questa vita è il valore immenso che il Signore ci lascia in custodia, ovviamente insieme alle vite di tutti gli altri uomini, ed a noi la responsabilità di “spenderla” per farla fruttare, amplificandola così nel valore massimo ed assoluto della vita eterna, ma anche nel vederla fruttare nelle vite di chi ci sta intorno, sempre nella direzione del valore assoluto della vita eterna.
Buttarsi nell’investimento della vita per farle fare frutto non è mai un perdere, ci dice in succo la parabola, la quantità del frutto non è importante, basta fare, portare frutto, al Signore basta il minimo per trascinarci con Lui nel massimo, nella Vita Eterna, nella Resurrezione. È dunque la vita il talento che ci viene consegnato, la vita eterna è il frutto che ne ricaviamo se ci giochiamo nel giusto modo la vita.
Questo può sembrare poco a chi manca l’orizzonte dell’eternità, forse anche riduttivo per chi è abituato a primeggiare in questa vita, ma il fatto che la vita di tutti, ogni vita umana, è un valore immenso, come i talenti, per il Dio della vita, io lo trovo un fatto rassicurante e liberatorio: rassicurante perché non devo fare nessuno sforzo per accaparrarmi un valore che mi viene dato in dono, liberatorio perché mi libera da ogni logica umana di accaparramento e ricerca del valore: se è Dio a dire che io valgo non avrò bisogno di dimostrare a nessuno il mio valore. In più devo riconoscere che tutto questo è profondamente giusto, perché non c’è una vita che agli occhi di Dio valga di meno o di più, non c’è vita sin dal suo concepimento che non abbia tutto il valore possibile!
Nei confronti del dono della vita Il Signore ci chiede di non nasconderci, poiché non è la semplice “restituzione” della vita che Egli ci chiederà ma quel frutto, quell’interesse, che aggiunto alla nostra vita la farà diventare eterna per il suo stesso dono. Il Signore non fa un calcolo come facciamo noi uomini quando ci “prestiamo” il danaro, le cose, per Lui quello che ci dona è sempre “un poco”, come ai servi della parabola, e chi usa di questo poco dimostra la fedeltà e riceverà il molto della vita eterna. Il Signore non ci chiede sforzi superiori alle nostre forze, il Signore ci chiede di avere fede in Lui cambiando modo di guardalo, non come un terribile tiranno, ma come un Padre che nella sua paternità si strugge per noi fino a desiderare di vivere con noi l’eternità: questa è la molla buona che ci permetterà di vincere ogni paura e gettarci, senza ritardi, nell’investire bene la nostra vita e sfruttarla al meglio, ognuno nelle sue possibilità, sicuri solo che se investiremo la nostra vita non potremo mai fallire per quanto possano essere forti le preoccupazioni di perdere tutto. Con quello che Dio ci affida abbiamo sempre tutto da guadagnare se ne usiamo e ne condividiamo, al contrario, è sicuro che perderemo tutto se, con quello che ci viene affidato, ci comportiamo da egoisti e padroni: con Dio, Padre della moltitudine dei figli, non c’è spazio per chi non vuole farsi fratello di qualcuno, lo spazio infinito della vita eterna può essere aperto solo a chi vuole condividere la vita, non solo quella che “sarà “ nel Regno, ma a cominciare da quella che qui ci viene data in dono oggi, accogliendo e condividendo questo dono con tutti gli altri doni che il Padre ha distribuito a tutti i suoi figli!
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