XXX domenica del tempo ordinario

“Spesso alla vita non bisogna cambiarne la forma, ma bisogna cambiare la luce con cui la vediamo”. Sono le parole che una volta mi ha detto un prete e che penso possano essere la sintesi del vangelo che oggi la Chiesa ci dona.

E’ l’ultimo miracolo di Gesù nel vangelo di Marco: ridare la vista, la luce, ad un cieco!

Il nostro problema spesso è stabilire cosa fare, cosa dobbiamo fare per cambiare la realtà, ma poi ci accorgiamo che talvolta nella vita c’è poco da cambiare e molto da accogliere. Il vero problema, in alcune occasioni, non è cambiare la realtà ma avere occhi diversi, avere una luce diversa con cui vederla e accoglierla. La questione quindi è stabilire con quali occhi vedere, perché la fede fondamentalmente è vedere e vedermi con gli occhi di Dio.

Possiamo entrare dentro questo episodio del vangelo da diverse posizioni, ne prendiamo due:
Dalla parte dei discepoli-folla o dalla parte del cieco;

Dalla parte dei discepoli-folla: Gesù coinvolge in questa guarigione proprio i suoi compagni di viaggio e rivolge a loro una parola che prefigura la loro missione: chiamatelo!

Quei discepoli, quella folla, che prima sgridava il cieco perché tacesse, è invitata da Gesù, in maniera perentoria a chiamarlo!

Dietro questo invito c’è tutta la pedagogia di Gesù verso i suoi discepoli, verso la sua futura Chiesa: ascoltare e chiamare all’incontro con lui e con la sua salvezza!

Da poche settimane si è aperto il cammino sinodale sul tema “camminare insieme” e Papa Francesco più volte ha ribadito che questo “camminare insieme” è possibile in una Chiesa che innanzitutto sa ascoltare, ascoltare tutti, ma soprattutto ascoltare il grido dei poveri che talvolta diventano il mezzo con cui lo Spirito Santo ci parla e ci converte.

I discepoli e la folla all’inizio intimano a questo cieco di tacere e forse in questo gesto si nasconde la paura che ci abita e che talvolta abita le nostre chiese: la paura cioè di ascoltare, perché l’ascolto presuppone uno spazio, presuppone il coraggio di fermarsi e di entrare nel mistero dell’altro e di Dio, lasciarsi mettere in discussione le nostre tabelle di marcia, le nostre sicurezze. Interessante che questa guarigione dalla cecità non comincia dagli occhi ma dagli orecchi, dall’ascolto, si dice infatti che il cieco “sentendo che passava Gesù…cominciò a gridare”. Tutto comincia dall’ascolto (la fede nasce dall’ascolto -Rm 10,17-). Per avere la luce della fede bisogna saper ascoltare cioè accogliere quello che proviene dalla Parola di Dio ma quello che proviene anche dal “grido della vita” altrui.

In questo senso risuonano efficaci le parole del Concilio Vaticano II: Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”. ed è così che comincia anche la nostra guarigione, la conversione della Chiesa, quando ascoltiamo e facciamo abitare nel nostro cuore il “grido della gente”.

Dalla parte del cieco: “Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!” è il grido di questo cieco che rivela che la vera illuminazione non passa per la nostra bravura e la nostra perfezione, ma comincia quando riconosciamo che da soli non ce la facciamo e abbiamo bisogno di aiuto.

Questo cieco ha il coraggio di chiedere aiuto a Gesù e di gridare a lui tutta la sua povertà. Prima di recuperare la vista, recupera la fiducia di gridare a Gesù tutta la sua umanità che ha bisogno di essere guarita. Marco Mengoni qualche anno fa cantava “credo negli esseri umani che hanno coraggio, il coraggio di essere umani!” e da qui comincia la nostra guarigione, quando siamo capaci di metterci davanti a Dio con la nostra umanità e la nostra povertà! Ed è allora che l’incontro con il Signore diventa luce che ci “rialza”, perché le nostre povertà sono lo spazio dove lui può generare ancora vita, punto di partenze e di ripartenze e non più luogo che ci inchioda alla rassegnazione. Il suo grido e la chiamata di Gesù, aprono quest’uomo alla disobbedienza verso tutto ciò che dentro di lui e fuori di lui gli ha assegnato il posto nella sua vita: mendicante ai cigli della strada!

“E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada”: la guarigione di questo uomo si compirà pienamente nel seguire Cristo che sta andando verso la sua Pasqua, per fa vedere a lui e a tutti gli uomini, la passione di amore di un Dio che la vita non ce la chiede ma ce la dona. Concludo con le parole del gesuita Silvano Fausti: “vedere la passione di Cristo vuol dire essere illuminati, fino a quando uno non vede l’amore assoluto di Dio per lui, non comprende il senso della sua vita, della sua dignità. E’ questa l’illuminazione alla quale vuole portare il vangelo”. Buona domenica!

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