XXVIII domenica del tempo ordinario
Oggi sentiamo spesso parlare di “dress code” da rispettare e di “outfit” cui porre attenzione nella vita di ogni giorno. Bene o male, tutti sappiamo di cosa si tratta: sono termini relativi all’abbigliamento, al modo di vestirsi in determinate situazioni per non stonare con l’ambiente o con la situazione stessa nella quale ci troviamo. Per farla semplice, nessuno si presenterebbe a un matrimonio in tuta da lavoro, magari ben “adornata” di macchie di olio… così come credo che nessuno scenderebbe in spiaggia ad agosto in giacca e cravatta! Diciamo che oggi si pone molta attenzione all’aspetto dell’abbigliamento giusto al momento giusto: anzi, forse anche fin troppa attenzione… C’è chi, sulla necessità di trovare il vestito giusto per ogni occasione, ha costruito una professione: ciò che fanno la stragrande maggioranza degli e delle influencers è precisamente questo, spesso con un mucchio di esagerazioni che tuttavia trovano riscontro nei loro “followers”. Basta guardarsi in giro: c’è un vestito per andare a portare a spasso il cane, esiste un outfit adatto per andare a fare la spesa (ovviamente, con una variante per quanto riguarda il centro commerciale e un’altra per il mercato di paese…), un dress code per uscire a cena con le amiche e uno per invitare a cena gli amici (distinguendo, chiaramente, se si tratta di una grigliata in giardino o di una cena in casa a base di pesce…). Addirittura, ho visto, navigando in rete, indicazioni su “come essere perfetta anche mentre fai giardinaggio”, e anche una rivista, sugli scaffali di un’edicola, che mostrava in copertina l’outfit giusto per andare a raccogliere castagne nel bosco…
Che esagerazioni… oggi sembra che, se non sei elegante, chic e in armocromia ogni giorno, sei fuori dal mondo! E pensare che una volta esisteva un solo abito “elegante”, quello della festa: e guai, se ci si sognava di voler indossare nei giorni feriali i pantaloni della domenica, stirati già tre giorni prima per andare a messa! Per non parlare delle scarpe, delle quali esistevano solamente due o tre paia: quelle per ogni giorno e, appunto, quelle della festa. Eh, già: perché non tutti i giorni sono uguali. Il giorno di festa è diverso dagli altri, e necessita di un vestito differente.
Lo sapeva anche Gesù, che intorno all’abito della festa costruisce la conclusione di una parabola, e per di più, con esiti anche abbastanza “drammatici”: uno si presenta a un banchetto nuziale vestito in modo inadeguato, cioè senza l’abito nuziale, e viene sbattuto fuori a pedate, legato mani e piedi come un salame! E sì che poco prima il papà dello sposo aveva mandato i suoi servi ai crocicchi delle strade per spingere ad entrare al banchetto chiunque avessero trovato per strada, buoni e cattivi: che dovessero addirittura preoccuparsi di essere a posto con l’outfit… pare proprio un po’ esagerato!
Forse, questa modalità un po’ brusca del re verso questo invitato al banchetto è da inserire e comprendere nel contesto di tutta la parabola: una parabola nella quale c’è un filo conduttore che fa da sfondo a tutta la vicenda, e riguarda l’atteggiamento dei sudditi nei confronti del re. Un atteggiamento che potremmo definire di “faciloneria”, superficiale, approssimativo, se non addirittura indifferente nei confronti del re che, non dimentichiamolo, nelle parabole del Regno rappresenta sempre Dio. E questa indifferenza, questa superficialità nei confronti di Dio si manifesta in molte forme: a Dio puoi permetterti di dire di sì, quando ti invita a lavorare nella sua vigna, salvo poi fartene un baffo di lui e della sua volontà; della bontà e della misericordia di Dio non ti importa più di tanto, l’importante è che ti ripaghi in maniera giusta per quello che fai per lui, evitando di trattare tutti gli altri come tratta te; di suo figlio, che sia l’erede di tutto o che ti abbia invitato alla sua sontuosa festa di nozze, a te non importa nulla, anzi, puoi addirittura permetterti di eliminare lui e i suoi servi, nella convinzione di impossessarti, prima e poi, del Regno; rispondere al suo invito al banchetto andandoci vestito in maniera adeguata in segno di rispetto e di riconoscenza nei suoi confronti è l’ultima cosa a cui pensi, a te importa riempirti lo stomaco, e visto che è tutto gratis, ancor meglio!
Ma con Dio non funziona così: Dio non è a tuo uso e consumo, e nemmeno puoi avere a che fare con lui a tuo piacimento, quando a te serve e come a te serve. Dio va servito, rispettato, amato; e a lui va dato il tempo necessario, secondo quanto egli ti chiede di fare e nei modi in cui lui ti chiede di farlo.
Perché ormai dovremmo aver capito che è lui il re, è lui il padrone della vigna, è lui il signore del Regno, e non possiamo permetterci di avere nei suoi confronti tutti quegli atteggiamenti che le parabole di queste domeniche ci hanno mostrato: gelosia, indifferenza, prepotenza, superficialità. Questo è quello che spesso facciamo nei confronti di ciò che riguarda Dio: lavorare per il Regno di Dio solo quando ci conviene, avere a che fare con Dio solo quando e come ne abbiamo voglia noi, trattare Dio come una cosa qualsiasi, come una delle tante cose della vita, anzi spesso meno importante di molte altre, visto che molte volte ci preoccupiamo più di essere impeccabilmente vestiti da festa ogni giorno che non di rivestirci di opere di bontà e di giustizia (sì, questo sta ad indicare l’abito nuziale della parabola).
Del resto, nessuno ci obbliga a credere in Dio, vero? Sì: nessuno ci obbliga a credere. Dio non ci obbliga a rispondere alle sue domande e alle sue richieste, non ci tortura, non ci estorce risposte a forza. Con lui possiamo benissimo ammutolire, tacere, e comportarci come vogliamo.
Ma non possiamo pretendere di pensare che questo non abbia conseguenze per la nostra vita. Quali? Non lo saprei dire, ma a leggere il Vangelo di oggi…
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