XXVI dom del Tempo Ordinario
Carissimi, la Parola di oggi ci invita ad un vero e profondo esame di coscienza sui nostri comportamenti in quanto cristiani. Soprattutto il Vangelo! Il quale, nonostante la durezza delle parole pronunciate da Gesù, ci dona un messaggio di grande speranza: il Regno dei Cieli non è per i perfetti secondo i criteri del mondo e degli uomini; ma addirittura vi si entra “auto-mutilati”, se necessario per la nostra e altrui salvezza.
Allora coraggio, fratelli e sorelle: impieghiamo le nostre forze, in collaborazione con la grazia di Dio che ci precede e ci assiste, non per la nostra “perfezione”, ma per la nostra continua conversione!
Sia la prima Lettura che il Vangelo ci presentano rispettivamente due discepoli, Giosuè e Giovanni, e i loro maestri, Mosè e Gesù, il Maestro. Due discepoli che faranno entrambi grandi cose per e con Dio: e il loro esempio è segno di speranza per tutti noi.
Ma oggi li incontriamo così “umani” e lontani dal cuore dei loro maestri e, in loro, dal cuore stesso di Dio (Javhè, per il primo, e ora, in Gesù, Padre per il secondo).
Due giovani (nella vita e nella fede) che appaiono quasi gelosi del loro ruolo di discepoli di così grandi “uomini di Dio”. Due eletti a stare molto vicini ai loro maestri, eppure hanno lo sguardo ancora piccolo, e svelto a farsi giudice verso chi “non è dei nostri”.
I maestri, Mosè, ma soprattutto Gesù, sembrano gioire di questi “estranei” che stanno rispettivamente profetando e operando in nome di Dio.
E in Gesù pienamente ma, con le dovute proporzioni, anche nel fedele condottiero del popolo eletto verso la Terra promessa, possiamo vedere il cuore del Padre che gioisce per il Regno che cresce (cf Mc 4,26ss), che si rallegra davanti a un invitato lontano che accetta di entrare al suo banchetto di nozze (cf Mt 22,1-14), ed esulta per una pecora perduta – un figlio – che rientra nell’”ovile”: la sua casa (cf Lc 15).
Giosuè a questo punto viene ripreso duramente da Mosè. Mentre Gesù coglie ancora una volta l’occasione per far compiere a Giovanni e ai suoi amici un nuovo passaggio di crescita nella fede e, più concretamente, nel discepolato.
Infatti oltre a un invito ai discepoli da parte del Maestro a riconoscere in tutto ciò che è bene, costruttivo, solidale la sua presenza, essi sono chiamati a guardarsi dentro e a tagliare con quello che impedisce la purezza del loro sguardo e l’onestà dei loro gesti. E, di conseguenza, ostacola la radicalità e l’autenticità della loro sequela che non contempla mollezze né mediocrità.
«Perché non ci seguiva»: così l’apostolo giustifica la reazione del gruppo davanti allo sconosciuto che sta semplicemente compiendo del bene in nome di Gesù Cristo, pur non essendo parte dei Dodici.
Attenzione allora! Se vogliamo che gli altri “ci seguano” guardiamo prima a noi stessi…
I nostri occhi dove guardano? Le nostre mani cosa indicano? E i nostri piedi: quale strada percorrono?
È una responsabilità grande farci seguire sulle vie della salvezza: e Gesù, l’unico Maestro, ci avverte!
Occhi, mani e piedi: proprio quelle parti del nostro corpo chiamate quotidianamente a guardare, ad indicare e a prendere una direzione.
Domandiamoci: È veramente “solo” Cristo la nostra direzione? O è “anche” Cristo tra le tante possibilità che ci offre il mondo? Lo ripetiamo: no mollezze né mediocrità nel servizio nel Regno!
In un’altra occasione il Signore già l’aveva detto ai suoi: non si possono servire due padroni (cf Lc 16,13).
«Scegli dunque, “Giovanni” – sembra dirgli Gesù (e ognuno può sentire in “Giovanni” pronunciare dal Maestro il proprio nome). Vuoi davvero seguirmi? Allora taglia con quella parte di te che ti porta fuori strada, che ti allontana da me e dai tuoi fratelli! Perché non ti accada di meritarti invece il fuoco della Geènna e di portarti dietro tutte le anime che il Padre ti ha affidato».
Ultimo, ma non fuori luogo, il monito di Giacomo ai ricchi della sua comunità: oh quanto è triste la loro fine! Essi hanno scelto e servito il “padrone” sbagliato: la ricchezza. Hanno dunque tagliato la parte di loro che invece andava custodita: l’occhio che ci vede invece di quello cieco; la mano che dona rispetto a quella che trattiene; il piede che cammina, anzi: che corre “fuori di se” poiché mosso dall’amore, invece di quello fermo, appesantito dalla zavorra del proprio orgoglio.
Eccoci dunque all’epilogo di questa “lezione” di nostro Signore che Giovanni imparerà e metterà in pratica: e lo vedremo correre liberato dall’amore sotto la croce del suo Signore.
Così il suo occhio illuminato vedrà il Cuore di Cristo; la sua mano ce lo racconterà scrivendo.
E il suo piede non cesserà di seguire il Maestro in ciascuno di noi – “discepoli amati” – e in tutti quelli che verranno.
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