XXI domenica del tempo ordinario

Un tale chiese un giorno a Gesù: “sono pochi quelli che si salvano?” Forse intendeva anche chiedere: “ci sono anche io? Mi salverò?” Ho l’impressione che questa domanda sia molto lontana dalle nostre preoccupazioni quotidiane. Qualche volta in famiglia, tra amici o sul lavoro ci è capitato di parlare di una cosa come la “salvezza”? I temi dei nostri dialoghi (e quindi dei nostri interessi e delle nostre attese) sono altri: l’economia, i figli, gli affetti, la politica, il fine settimana… Ed è del tutto comprensibile, perché dal buon andamento di queste cose concrete dipende la nostra “felicità”, il sentirci realizzati. Per questo è bene che ci prepariamo: perché andando in chiesa questa domenica, magari anche per abitudine, magari anche con un po’ di fatica, Gesù ci parlerà della “salvezza”. E non potremo sottrarci alla domanda: quale rapporto c’è tra le parole di Gesù e le preoccupazioni concrete che ci portiamo nel cuore giorno per giorno?

Non è facile e scontato scoprire questo rapporto, ma sono convinto che c’è ed è molto forte. Quello che Gesù chiamano “salvezza” possiamo intenderlo come pienezza, compimento del desiderio di vita, di amore, di senso: è questo desiderio che muove ogni nostra azione, ogni decisione che prendiamo, ogni sogno che ci proietta nel futuro. Gesù ci dice che questo compimento, che desideriamo con tutte le nostre forze, non è prima di tutto frutto di calcoli economici o di piani strategici, non è la somma di tutto quello che possiamo avere, ma ci è dato come un regalo, da parte di Dio che ci ama; non consiste in più ricchezza o potere, ma in più vita, per noi e quindi per tutti. Il cammino cristiano, il primo passo per chi segue Gesù è accettare il regalo, lasciarsi convincere dall’amore. Sembra la cosa più facile, appunto. Ma lo è davvero?

Il brano di Vangelo di questa domenica parla di un aspetto della “salvezza” annunciata da Gesù che a prima vista sembrerebbe contraddire l’insieme della sua predicazione. Alla persona che gli chiede se sono pochi quelli che si salvano, Gesù risponde spostando la questione dal “quanti” al “come”: “sforzatevi (si potrebbe tradurre: lottate fino alla morte) di entrare per la porta stretta”. Gesù parla della salvezza con una piccola parabola, che utilizza l’immagine biblica di un signore che invita tutti ad un banchetto nella sua casa. E sottolinea due elementi: la porta per entrare in questa casa è stretta, e a un certo punto la porta si chiede per sempre. Gesù ci dice che il cammino della salvezza ha un passaggio stretto, che non si attraversa per inerzia, ma solo con una decisione ferma e personale (come quella che Lui ha preso iniziando il cammino verso Gerusalemme, Lc 9,51). E ci dice che occorre mettersi in cammino subito, perché a un certo punto non sarà possibile entrare per quella porta, e non servirà implorare o avanzare scuse.

Viene spontaneo chiederci: in cosa consiste la “strettezza”, cioè la difficoltà di passare per quella porta? E quanto tempo abbiamo a disposizione per farlo? Alla prima domanda risponde in parte con la piccola parabola: a chi rimane fuori dalla porta e chiederà di entrare il padrone dirà: non so di dove siete. Essi presenteranno come credenziale l’aver mangiato e bevuto con lui, l’aver ascoltato la sua predicazione nelle piazze. Ma egli li scaccerà come “operatori di ingiustizia”. Gesù vuole dirci che non basta stare con lui, sentire il suo insegnamento: occorre viverlo, fino a praticare la “giustizia” che Dio attende. La “porta stretta” consiste nel seguire Gesù nella rinuncia a se stessi e al proprio egoismo, fino al dono di sé per amore (mentre dice questo, Gesù sta camminando verso Gerusalemme, e insegna ai discepoli che là lo uccideranno e poi risorgerà).

Quanto al tempo utile per entrare in quella casa, si può comprendere come quello nel quale abbiamo la possibilità di compiere opere di giustizia, quelle indicate nella legge di Mosè, che riguardano l’attenzione al prossimo, al bisognoso (che nella Bibbia è spesso simboleggiato nelle categorie dell’orfano, della vedova e dello straniero). Si può comprendere questo insegnamento alla luce della parabola che Gesù racconta in Matteo 25, quando il re dividerà l’umanità tra pecore e capri (facendo avvicinare a se le prime e allontanando i secondi) in base a come le persone avranno compiuto gesti di carità per le persone bisognose. Questi gesti si compiono durante la vita sulla terra: essa è il “tempo utile” per prepararci ad entrare nella casa del Signore.

Con questa parabola Gesù insegna che Dio accoglie nella sua casa non solo i figli di Israele, ma tutti coloro che rispondono al suo invito vivendone le condizioni. E con grande coraggio prevede che i “pagani”, venendo da tutti i punti della terra, siederanno a mensa con Abramo e gli altri patriarchi (riprendendo l’oracolo del profeta Isaia della 1° lettura, in cui Dio “raduna tutte le genti e tutte le lingue”), mentre quelli che ascoltano la sua predicazione senza convertirsi rimarranno esclusi da quella festa, anche se appartengono al popolo di Israele.

Il dono del Padre diventa efficace sono quando accogliamo il dono con una risposta concreta. La dimensione dello “sforzo”, della fatica per corrispondere al dono della salvezza, la lettera agli Ebrei lo traduceva nelle domeniche scorse presentando la vita cristiana come una lotta e in questa domenica lo fa parlando della prova (2° lettura): agli occhi di chi ha fede la sofferenza, la difficoltà può essere vista come una correzione, una prova da parte di Dio. In un rapporto educativo vero tra padre e figlio la correzione è segno di amore (chi non corregge non ha a cuore il bene del figlio). Ma per vedere la correzione nelle sofferenze è necessario vedere più e prima l’amore di chi corregge, e questo amore è possibile vederlo solo con la fede.

Può sembrare una contraddizione il fatto che Gesù annunci la salvezza come un dono di amore e poi ci chieda uno sforzo per accoglierla. Se però guardiamo più in profondità, possiamo scoprire un rapporto tra l’insegnamento di Gesù e quello silenzioso della vita: la felicità non piove dal cielo su chi si lascia vivere. È necessario appassionarsi alla vita, innamorarsi di qualcuno e di qualche valore. Quando entriamo in questo cammino dell’amore, ci sono chiesti dei sacrifici in ogni passo, ma non scandalizziamo, non ci sentiamo ingannati per il fatto di dobbiamo pagare di persona… perché il nostro sguardo e il nostro cuore sono presi dall’amore, dal valore che vogliamo raggiungere perché ci ha già raggiunti: in questa scoperta, che si fa solo rispondendo con la libertà e l’amore, si realizza per noi il dono della salvezza di Dio.

Forse è valsa la pena dedicare un po’ del tempo prezioso della domenica all’ascolto della parola di Gesù: essa non è così lontana dalla nostra vita; anzi, a pensarci bene, ci aiuta a scoprire quello che cerchiamo in tutto ciò che facciamo giorno dopo giorno.

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