XVII domenica del tempo ordinario
Domenica scorsa ci eravamo lasciati con l’istruzione di Gesù a Marta che la invitava a cercare quello che veramente ha valore, quello che non ci può venire tolto, la parte migliore. Questa domenica è lo sviluppo logico (anche perché è la linea del vangelo stesso di Luca): quale è la parte migliore?
Il vangelo inizia soft: quando Gesù ha finito di pregare. Sappiamo però che Luca ha descritto la discesa dello Spirito Santo mentre Gesù stava pregando nel Giordano, ad esempio, come se ci volesse dire che da quell’unione profonda col Padre scaturisce sempre qualcosa di grosso, di nuovo, che prima non c’era e neanche ci si aspettava…
I discepoli intuiscono che a loro manca qualcosa, forse perché volevano un grimaldello per forzare la mano di Dio, forse perché vedevano Gesù che traeva dalla preghiera una forza inesauribile, o chissà per quale altro motivo, ma alla fine si decidono a fargli LA DOMANDA: insegnaci a pregare. Sì, perché se so pregare poi non ho più scuse, se ascolto quello che il Signore mi dice poi gli devo dare retta. È una domanda grande, che segna una svolta.
Per capirci: torniamo all’epoca delle medie, una ragazza ci colpisce e si inventava chissà quale strategia per conoscerne il nome, la scuola, addirittura avere il numero di telefono, ma poi, al dunque, alla prima uscita l’ansia di non saper dire una parola “giusta” e l’immancabile figura da pesce lesso…
Finché abbiamo l’alibi di non conoscere o di non sentire vicino il Signore, un po’ ce la cantiamo e ce la suoniamo; qui invece i discepoli fanno il grande salto, quello che ci lancia verso una fede adulta, vera, seria; magari con motivi ancora imperfetti, ma hanno fiutato che lì c’è il tesoro vero.
Gesù a sua volta non si fa pregare ma subito gli dona la sua preghiera; alcuni hanno notato che la formula “quando pregate dite…” potrebbe anche significare che per noi funziona in un modo e per Lui invece no, ma sarebbe contrario all’Incarnazione. Al contrario penso che Gesù con molta attenzione dica le parole come per non farne cadere neanche una “goccia” perché che neanche una briciola vada sprecata.
Noi conosciamo bene la versione riportata nel vangelo di Matteo, Luca sembra più breve, quasi scarno. Un po’ è perché sta scrivendo a persone che non hanno una grande tradizione biblica, in maggioranza provenienti dal mondo pagano, e una comunità di poveri, ma per questo aperta agli ultimi. Le domande allora diventano più semplici, più assolute e più facili da capire, anche per chi da poco si sia messo in un cammino di fede.
Padre: la preghiera è una relazione tra 2 persone, non è qualcosa da fare perché fa bene (la spinta del perfezionismo), non è impetrare grazia da una potenza oscura e minacciosa (trasformare Dio nel mio factotum) o smuovere un Dio pigro e disinteressato (i dei greci), ma è scoprire il volto di Dio che ha scelto di essere mio padre – perché mi ama nel modo che sulla terra un padre ama un figlio -.
Prego perché ho bisogno, è vero, di Te Padre e per dirti che ti voglio bene, che sono felice di essere tuo figlio, che ancora e sempre di più mi stupisco che vuoi che io sia tuo figlio e, addirittura, pensare che tu possa essere fiero di me come un padre terreno lo può essere del figlio, fiero di ciò che sono, di come provo ad aiutarlo nei suoi progetti mi fa venire le vertigini.
Sia santificato il tuo nome: la forma passiva del verbo necessita che ci sia qualcuno che fa l’azione, uno studioso diceva che ogni volta che nella bibbia c’è un passivo e non appare un complemento d’agente, questo significa che è Dio che fa l’azione. E allora che significa che Dio faccia sì che il Suo nome sia santificato? Beh, proviamo a tradurlo con: “si manifesti sempre più che il tuo nome è santo” che potremmo leggere con: Signore, fa in modo che il tuo amore per noi raggiunga sempre più il suo obiettivo (che viviamo la vita nuova in Cristo) tale che si manifesti quanto sei santo e ognuno possa contemplare il tuo volto e riconoscere il tuo amore e imparare a desiderarlo.
Venga il tuo regno: il Regno è la condizione dove Dio può svelare tutto quello che ha nel cuore, dove il suo amore può sbizzarrirsi ed essere pienamente efficace perché accolto. Pensate che l’accoglienza del suo amore non serve perché il Signore ne ha bisogno (per quanto ci ama di un amore folle… pensiamo alla croce) ma perché se lo accogliamo poi diventiamo capaci di riceverne ancora di più (un po’ come le nonne che quando le vai a trovare riparti pieno dei loro regali)
Dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano: viene tradotto come quotidiano una parola che compare solo qui e letteralmente dice che serve per vivere: allora si è data la sfumatura temporale proprio per dire quanto ne necessitiamo. Io direi che Gesù ci insegna a chiedere con forza ciò di cui abbiamo veramente bisogno per vivere, ma non è così immediato definire di cosa abbiamo bisogno. È come una domanda che ogni giorno ci deve ronzare in testa: di cosa oggi ho veramente bisogno per vivere? Se volete: di cosa ho bisogno per essere me stesso?
Molti, io direi giustamente, hanno letto un forte richiamo all’eucarestia; però è altrettanto vero che abbiamo bisogno anche di cibo, di dignità, di libertà; non nega tutto questo, ma ci chiede di riconoscere una serie di priorità e quindi di imparare a fare discernimento (Gesù ha insegnato E ha moltiplicato i pani per coloro che lo avevano seguito).
E perdonaci i nostri peccati perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore: abbiamo bisogno di perdono perché siamo peccatori, Dio lo sa. Non è così certo che io sia convinto di esserlo…
Ma oltre questo, ho bisogno di un perdono perché io (… e qui si può leggere in 2 modi): perché io perdono già gli altri e quindi sono pronto a ricevere il perdono Tuo, quello vero; oppure mi serve il tuo perdono affinché io possa perdonare gli altri che mi hanno ferito. Sono vere entrambe, però penso che la seconda sia da preferirsi, perché il perdono che esce dal mio cuore verso i fratelli è il capolavoro di Dio che guarisce il Caino che è dentro di me, mi ammansisce come il lupo di Gubbio, il perdono accolto che come una malattia contagiosa mi “contagia” il desiderio di perdonare.
e non ci indurre in tentazione: sapete quanti discorsi sull’interpretazione dell’aoristo… prendiamo la traduzione che ci viene offerta che ci dice: non mi abbandonare da solo ad affrontare le tentazioni, non mi lasciare in balia di me stesso perché poi non so cosa combino, ovvero lo so e non vorrei farlo.
Dopo la preghiera però c’è un’istruzione (in Matteo c’era l’invito al perdono fraterno) sulla preghiera che sia insistente e fiduciosa. Insistente perché la costanza è la misura della profondità di un bisogno, di un amore, della fiducia. Io non devo convincere Dio, tantomeno forzargli la mano, che Dio sarebbe Uno che si lascia forzare la mano da me? Al contrario è come se Gesù chiedesse: ma ti interessa veramente ciò che chiedi? Nel libro “Oceano mare” di Baricco un personaggio dice “io pregavo ma non pensavo che voi Signore mi ascoltaste, io pregavo per riempire l’attesa” posso aver sbagliato qualche parola ma il senso della prima preghiera di padre Pluche è questo. Noi spesso siamo sottomessi all’inquietudine, al capriccio, alla concupiscienza per cui ci capita di desiderare anche cose buone, ma oggi questa, domani quell’altra. Chiedi veramente, come se non ci fosse un domani, chiedi come quando sei sott’acqua e vuoi solo respirare, come quando stai male veramente e scopri quanto è importante la salute, come quando hai un parente ammalato e trovi solo in Dio chi ti può aiutare.
Ma che cosa devo chiedere?
Faccio io? Mi lascio guidare dal bisogno o dalla situazione? C’è una cosa migliore, una parte migliore che dura e che nessuno mi può togliere?
Siamo tornati alla domanda di partenza e a Gesù che insegna a Marta che esiste una parte migliore, l’unica per la quale vale la pena di affannarsi.
Il discorso culmina con l’offerta del Padre del dono dello Spirito Santo, perché ci chiede di chiederLo ben sapendo che questa è la volontà del Padre.
Questa è la risposta.
Ogni volta che preghi, che preghi per davvero e non per riempire l’attesa, inizia un circuito che mossi dallo Spirito Santo ci fa essere discepoli di Gesù che ci porta al Padre, che a sua volta fa di noi dei veri figli, conformi al Figlio, con il dono dello Spirito.
Allora diventa facile capire il Padre Nostro, quale è il pane che serve per vivere, come possiamo diventare luoghi di santificazione del Suo Nome, avanguardie e primizie del Regno e persone che vivono di perdono, offerto e ricevuto.
La costanza allora è chiaro che sia necessaria perché questo è un cammino che dura tutta la vita, non il tempo dei pii propositi.
E allora di cosa hai bisogno veramente per vivere? Quale è il pane da chiedere?
Quindi, adesso il tempo per le preghiera lo trovi?
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