XIII domenica del tempo ordinario

“Camminare con Cristo sulla via della Croce”, così prega la colletta e penso che capire bene questa affermazione ci aiuti non poco. Prima di tutto quando noi sentiamo questa espressione subito pensiamo a Gesù che sale sul Golgota, il che non sarebbe affatto sbagliato, ma quando Gesù la dice ai suoi questi capivano tutt’altra cosa.

Chi portava la croce era qualcuno che aveva ricevuto una condanna a morte, e la vita non gli apparteneva più; era guidato dai soldati e passava in mezzo a spettatori che potevano insultarlo (come sarà poi per Gesù), oppure semplicemente guardare divertiti. Chi ascoltava Gesù capiva che si parlava di vita, della propria vita, di come capirla: se seguo Gesù la mia vita non è più un mio tesoro geloso, ma qualcosa che ha la possibilità di essere portatrice della grazia di Dio: portiamo in noi Qualcuno che ci ha scelti e vuole camminare con noi fino al cielo. Per questo la vita non mi appartiene più come possesso esclusivo ma come una “comproprietà”, magari riuscissi a fare guidare completamente Gesù…

Allora si capisce la prima parte del vangelo, infatti non si tratta di odiare nessuno e, men che meno, i propri cari: è una forma semitica per dire preferire decisamente qualcuno a qualcun altro, così Gesù dice che se scegliamo Lui allora tutto quello che è nostro, prezioso, i nostri affetti, li potremo vivere nella libertà dei figli di Dio perché la nostra vita sarà piena di Lui e a loro potremo dare qualcosa di buono. Ma se ci chiudiamo a riccio sulle nostre paure, sulle ferite della nostra vita, diventeremo così attaccati ai nostri affetti da non farli più respirare e vedremo Gesù sempre come qualcuno che ci vuole derubare di qualcosa. Ciascuno di noi ha una “fame di vita” che è enorme: la Bibbia ci insegna che questo è il desiderio di Dio, quasi un ombelico che ci ricorda da chi veniamo, ed è una molla che ci spinge fino a Lui. Il rischio che corriamo è bloccare la corsa di questa molla e farla scontare a noi stessi e agli altri, specialmente a chi ci sta vicino. Un esempio: un genitore che non lascia libero il figlio lo fa perché è cattivo? Ovviamente no, anzi, è convinto che solo facendo quello che pensa lui il figlio sarà libero, felice e realizzato, e così il figlio avrà il dovere di essere tutto quello che il genitore non è stato… la stessa logica di cercare nelle relazioni tutto quello che ci manca è la causa di relazioni non libere, dove non c’è spazio per la gratuità, dove il linguaggio diventa quello del dovere e dovere essere. Solo se il Signore è il “gancio” che porta la nostra vita saremo in grado di donarci, di pensare agli altri più che a noi stessi, di rompere quella corazza che ci soffoca.

Per questo Gesù parla di “odiare” la nostra vita, cioè fidarci di Dio Padre più che di noi stessi, ciò è qualcosa di non naturale, che fa friggere il nostro orgoglio, perché è possibile rischiare così tanto solo se non è un salto nel buio, solo se lo Spirito Santo ci ha fatto conoscere il Figlio. Cercare solo e soltanto di salvaguardare la nostra vita, assecondare i nostri bisogni e desideri, veri o falsi che siano, è sprecare la vita (unica e irripetibile) perché ci imprigiona in noi stessi e non ci fa entrare in contatto con gli altri, ci ammazza di solitudine. Se volete è la dinamica della torre di Babele dove nessuno capiva più il linguaggio dell’altro perché ripiegato su se stesso. Questa è la piaga della nostra epoca: non essere capaci di comprendere che la vita nostra è bellissima proprio perché capace di essere donata, ai fratelli come un dono (ad esempio nel matrimonio), al Signore come gratitudine per essere amati così tanto da Lui. Chi vive questa dinamica con verità manifesta la presenza del Signore che con noi e in noi e compie la Sua opera: per questo chi vede voi vede me e Colui che mi ha mandato, perché la mia vita è già nelle Sue mani che mi ha amato e ha dato se stesso per me. Il vedere questo muove la generosità: è un effetto a cascata, non è la voglia di ingraziarsi il Signore (la vedova della prima lettura che accoglie Eliseo), ma è finalmente aver trovato la sorgente della vita, non serve più stare in guerra con la vita, la vita da risorti è questa. Quando s. Paolo parla di morire al peccato intende smettere di vivere come antagonisti di Dio, quella vita che pensiamo di dover difendere da tutto e tutti (specialmente dal Signore) scopriamo che ci viene donata eternamente, sia come giorno per giorno e sia come vita che sorpassa la morte, donata proprio dal Padre.

La vita di Cristo in noi è la vita di chi non reputò un tesoro geloso essere nella condizione di Dio, ma si è incarnato per condividere questo dono con noi. Lo Spirito di Gesù è quello del Figlio che dall’eternità è rivolto al Padre in un amen infinito.

Allora il test è facile: la vita per me è fatica o dono inaspettato?

Bada bene che Gesù ha avuto più problemi di ciascuno di noi quindi non possiamo evitare il confronto giustificandoci con i troppi disagi.

Ai suoi Gesù propone di vivere così: da figli amati. E c’è anche il rischio di essere felici…

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