Trasfigurazione del Signore

Ognuno di noi ha vissuto o vivrà momenti di festa, di contentezza, momenti di luce e di esaltazione… il giorno della nascita di un figlio, una festa di nozze, il giorno della laurea, un vecchio amico ritrovato. Quando ci succede qualcosa del genere, vorremmo poter fermare il tempo. Sono quei momenti in cui ci viene spontaneo dire: la vita è bella, è bello esserci, è bello per noi stare qui. Se siamo credenti ci viene anche di ringraziare il Signore, lodarlo per la sua bontà nei nostri confronti… A molti di noi sarà anche capitato di vivere momenti di profonda esperienza di Dio, magari il giorno della prima comunione, o quella volta che abbiamo pregato con tutto il cuore e abbiamo sentito la pace nel cuore, o quando abbiamo fatto quella confessione che ci pesava e abbiamo sperimentato la bellezza del perdono e della pace di Dio. È bello per noi stare qui.

Anche il vangelo di oggi ci parla di uno di questi momenti di luce, una luce luminosissima che viene da Gesù, una luce che splende come il sole e abbaglia Pietro Giacomo e Giovanni. È una visione che ricalca quella che Daniele (I lett.) ha di Dio stesso: la sua veste era candida come la neve… il suo trono come vampe di fuoco. Il vangelo ci fa capire che i tre discepoli ne sono spettatori frastornati, non sanno che fare, non sanno che dire. Pietro riesce sono a balbettare: è bello per noi stare qui. Vorrebbe fermare il tempo: costruiamo tre tende, dice, restiamo per sempre in questo posto, così non avremo più problemi, non avremo bisogno di null’altro.

Poco prima Gesù aveva parlato della sua passione, rivelando che il messia doveva soffrire, essere condannato e poi ucciso… anche lì erano rimasti frastornati, tanto che Pietro si era messo a rimproverare Gesù: non doveva parlare così, non poteva essere che il messia di Dio, che era suo figlio in modo speciale, subisse una tale sconfitta, la morte infamante…

Dopo quel turbamento che aveva preso i suoi discepoli nell’apprendere quale fine lo aspettava, Gesù aveva voluto rincuorarli: egli lascia che la luce immensa che lo abita possa per un attimo trasparire al di fuori del suo corpo mortale. Lui, fattosi uno di noi con l’incarnazione, in tutto simile a noi, fa vedere che la gloria di Dio lo abita. E appaiono anche Mosè ed Elia che conversano con lui. Mosè, il più grande dei condottieri d’Israele… Elia il più grande dei profeti… insieme rappresentano tutta la storia e le profezie contenute nelle scritture sacre: essi parlano con Gesù e implicitamente lo riconoscono come messia nella sua missione universale di compimento delle promesse di Dio per la salvezza di tutti.

Questo fatto contiene già un grande insegnamento: il valore insostituibile dell’AT, un valore ripetutamente messo in discussione, tanto che diverse volte nella storia della chiesa si ha avuto la tentazione di abolirlo, di non considerarlo come libro ispirato; anche oggi si riaffaccia ogni tanto questa tentazione… No, l’AT è e resterà per sempre libro sacro per i cristiani, PdD.

Su quel monte, che la tradizione ha identificato con il Tabor, Gesù appare trasfigurato: alla lettera, subisce una “metamorfosi” davanti a loro, le sue vesti diventano splendenti, bianchissime: è facile credere in lui in quel momento: tutto è luce, tutto è chiaro, tutto è bello: tutto è facile: è un anticipo di paradiso. Eppure bisogna ritornare al quotidiano, occorre ridiscendere al monte della luce per affrontare la lotta della fede.

Verrà infatti un altro momento, anch’esso su un monte – quello degli ulivi, dove gli stessi discepoli – non vedono più nessuna luce che esce da Gesù, anzi, il buio entra nel loro cuore: come è possibile che quest’uomo preso dall’angoscia e trasudante sangue, non più trasfigurato, ma sfigurato, poi trafitto sulla croce, sia il Figlio di Dio? Pietro e gli altri non dicono più: è bello per noi stare qui, anzi uno dei dodici vende Gesù per poche monete, Pietro nega di conoscerlo, tutti lo abbandonano. Anche per noi vengono questi momenti.

La fede vera, è fidarsi di Dio, contare su di lui, senza separare mai il Tabor dal calvario. Aver fede significa continuare a conservare il ricordo della luce anche quando siamo nelle tenebre, abbiamo fede quando anche nella sofferenza sappiamo sollevare lo sguardo verso il Cristo morto e risorto, quando non dimentichiamo i momenti in cui abbiamo fatto un’esperienza del Signore, il Signore che in qualche modo ci è apparso, si è fatto sentire al nostro cuore…

Come fare a non perdere mai l’orientamento, la bussola della nostra vita, nemmeno quando siamo nella tempesta e nello smarrimento? È sempre il vangelo a dircelo, la risposta è contenuta nelle parole che vengono dal cielo, dal Padre: questo è il mio figlio prediletto, dice il Padre, è il mio figlio che amo, in cui trovo la mia gioia, perché non mi dice mai di no… ascoltatelo. Ascoltatelo, cioè credete in lui: ascoltate la sua parola, perché, come dice la seconda lettura, “fate bene a volgere l’attenzione verso questa parola, che è come una lampada che brilla in luogo oscuro”. Quando e come ci mettiamo in ascolto della Parola di Dio? Ascoltiamo davvero la sua voce?

È bello per noi stare qui: è bello qui ora celebrare insieme l’Eucaristia, fare esperienza dell’amore di Dio che si manifesta a noi in questa liturgia… E però non ci è possibile mettere le tende qui. Tra poco usciremo di qui e saremo di nuovo immersi nel mondo con tutte le sue contraddizioni, tenebre e confusioni, un mondo che attende da noi la luce della fede attinta qui. Chiediamo al Signore di essere di diventare davvero questi testimoni credibile della sua luce.

Scarica Foglietto Avvisi Settimanale

Stampa Articolo Stampa Articolo

Articolo precedente

XVII domenica del tempo ordinario

Articolo successivo

XIX domenica del tempo ordinario