Santa famiglia di Gesù

Per un verso il collegamento tra la festa del Natale e quella della Santa Famiglia è quasi naturale e facile da comprendere. Per un altro verso, credo che molti sentiamo una certa resistenza quando sentiamo dire che la famiglia di Gesù è il modello che dobbiamo imitare nelle nostre famiglie. Come si fa a imitare una famiglia così originale come quella? Se prestiamo attenzione alle poche pagine del Vangelo che ci parlano di Maria e Giuseppe, ci accorgiamo che le situazioni che vivono non sono facili né desiderabili; ce ne viene un’immagine di famiglia tutt’altro che ideale!

Sì, credo che sia giusto andare oltre gli schemi, per poter scoprire un nuovo modo di collegare la Santa Famiglia di Nazaret e noi, qualche cosa che parli alla nostra vita in modo meno astratto e “religioso”, ma più concreto, più vicino alle domande della vita. Possiamo, senza perdere il rispetto per la santità di questi personaggi, guardare i tre personaggi nelle situazioni umane che hanno dovuto affrontare, senza l’aureola e senza gli angeli che i vangeli mettono in scena, ma che Maria e Giuseppe non vedevano né ascoltavano nel modo descritto da Matteo e Luca.

Pensiamo alla gravidanza di Maria, alla difficoltà di capire quanto stava vivendo; pensiamo allo sconvolgimento che avrà preso Giuseppe quando ha saputo della cosa, e a come ha deciso di accogliere Maria in casa, riconoscendo che quel figlio era suo, soffrendo la vergogna di chi non aveva rispettato i tempi della legge per vivere da marito e moglie. Oppure la nascita di quel Figlio non programmato, avvenuta in condizioni di fortuna, dovendosi accontentare e adattare agli ambienti degli animali. La scienza del vangelo di questa festa ci presenta i genitori osservanti della legge, che portano il bambino al Tempio. Dopo e oltre i riti della legge, trovano la sorpresa dell’anziano e rispettato Simeone che riconosce nel loro figlio la luce dei popoli e la gloria di Israele. Ma che lo presenta anche come “segno di contraddizione”, cioè non facile da riconoscere e comprendere; e che annuncia a Maria una spada che attraversa la vita, cioè un cammino segnato dalla sofferenza.

Dopo questi incontri Giuseppe e Maria tornano a Nazaret, e cominciano la vita di una famiglia normale, uguale a tutte le altre del paese, dedicata alla missione di far crescere ed educare quel figlio che come un mistero era entrato nella loro vita stravolgendola in profondità e lasciandola uguale in superficie. Infine c’è anche il primo pellegrinaggio pasquale a Gerusalemme con Gesù nell’età di passare dalla fanciullezza alla responsabilità verso Dio e verso la società. In quell’occasione affrontano un’altra tragedia, quando nel viaggio di ritorno scoprono che Gesù non è con loro, e tornando a Gerusalemme con il cuore in gola lo trovano finalmente dopo tre giorni nel Tempio. Perché ci hai fatto questo?, chiede Maria. Non sapevate? Io devo stare nella casa del padre mio, risponde Gesù. Come potevano capire quelle parole? E come spiegare che, dopo quel momento, Gesù torna con loro a Nazaret e svolge una vita come quella di tutti gli altri giovani, seguendo le abitudini culturali e religiose del paese? E quando giunge all’età in cui i giovani prendono moglie, lui no; rimane in famiglia, e anni più tardi prende la strada della Giudea, dopo Giovanni Battista stava battezzando. E un bel giorno eccolo di ritorno. Giuseppe e Maria lo vedono nella Sinagoga, in giorno di sabato, quando già in Galilea si cominciava a parlare di questo maestro di Nazaret; e lì legge un testo di Isaia e lo commenta come nessuno mai aveva fatto: oggi si compie davanti a voi questa parola. E la gente che gli chiede i miracoli, e lui che non li accontenta, e loro che lo prendono e lo vogliono uccidere. Ma Gesù se ne va per la sua strada.

Non attrae una vita così; non è facile desiderarla come ideale di vita famigliare. Eppure proprio in quella famiglia è accaduta una “buona notizia” che riguarda la vita di tutti, anche delle famiglie. Lì è nato ed è cresciuto un bambino che è Dio-tra-noi, l’Emmanuele. Da allora Egli è dentro ogni cuore, dentro ogni famiglia, dentro ogni situazione. Non c’è più storia familiare, anche la più difficile e dolorosa, che non sia misteriosamente custodita e salvata da Dio. Prima che imitata, questa famiglia va contemplata e ringraziata, perché ci autorizza a credere che Dio è vicino ad ogni famiglia. In secondo luogo la famiglia di Nazaret ci mostra come accogliere l’Emmanuele. Maria e Giuseppe accettano di rifare il loro progetto di vita facendo letteralmente posto a Dio, unicamente fidandosi della sua promessa. Ci insegna che nessuno può programmare tutto né tantomeno determinare, ma può rispondere liberamente e con fede. Così le nostre storie possono aprirsi a nuovi inizi, a nuove strade, senza perdersi. L’apertura a Gesù riapre imprevedibilmente ogni cammino. E infine la famiglia di Nazaret ci mostra il segreto per fare delle nostre famiglie dei luoghi dove sperimentare la grazia del Vangelo: «Gesù scese con loro e venne a Nazareth e stava loro sottomesso» (Lc 2,51). Il più grande tra loro si fa il più piccolo, si mette a loro servizio. In ogni rapporto, anche in quelli familiari, entra una nuova logica, quella dell’obbedienza reciproca, del servizio vicendevole, dove nessuno è più grande dell’altro, perché il più grande di tutti stava loro sottomesso. La “felicità” della vita, delle famiglie, secondo il Vangelo, non dipende dal fatto che tutto vada bene, che non ci siano difficoltà ed errori. Sta invece nella capacità di dedicare la propria vita a promuovere quella degli altri.

La Famiglia di Nazareth non è un “ideale da imitare”; ma contiene e rivela la “buona notizia” di Dio. Per tutti c’è una storia complessa da vivere, ma non siamo soli, il figlio di Dio prende dimora nelle nostre famiglie, e ci dona la forza per servire la vita, rimettendoci sempre di nuovo in gioco, appoggiandoci su una speranza affidabile. Contemplando la buona notizia della famiglia di Nazaret, possiamo vivere le nostre storie familiari nella gratitudine e nella speranza.

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