Racconti

Il Capitale

Un riccone arrivò in Paradiso.
Per prima cosa fece un giro per il mercato e con sorpresa vide che le merci erano vendute a prezzi molto bassi.
Immediatamente mise mano al portafoglio e cominciò a ordinare le cose più belle che vedeva.
Al momento di pagare porse all’angelo, che faceva da commesso, una manciata di banconote di grosso taglio.
L’angelo sorrise e disse: Mi dispiace, ma questo denaro non ha alcun valore”.
“Come?”, si stupì il riccone.
“Qui vale soltanto il denaro che sulla terra è stato donato”, rispose l’angelo.

Oggi, non dimenticare il tuo capitale per il paradiso.

Il Santo

Un sant’uomo passeggiava per la città quando s’imbatté in una bambina dagli abiti laceri che chiedeva l’elemosina. Rivolse il pensiero al Signore: “Dio, come puoi permettere una cosa del genere? Ti prego, fa’ qualcosa”. Alla sera il telegiornale gli mostrò scene di morte, occhi di bambini moribondi e corpi straziati. Di nuovo pregò: “Signore, quanta miseria. Fai qualcosa!”.
Nella notte, il Signore gli disse chiaramente: “Io ho già fatto qualcosa: ho fatto te!”.

Tocca a te.

Chi conta di più

C’era una volta un bramino buono e pio che viveva con le elemosine che i fedeli gli regalavano.Un giorno pensò: “Andrò a chiedere l’elemosina vestito come un povero intoccabile”.Così mise uno straccio intorno ai fianchi, come fanno i paria, i più poveri dell’India. Quel giorno nessuno lo salutò, nessuno gli diede l’elemosina.Andò al mercato, andò al tempio, ma nessuno gli rivolgeva la parola.
La volta successiva il bramino si vestì secondo la sua casta: si mise un bel vestito bianco, un turbante di seta e una giacchetta ricamata. La gente lo salutava e gli dava denaro per lui e per il tempio.
Quando tornò a casa, il bramino si tolse gli abiti, li posò su una sedia e si inchinò profondamente. Poi disse: “Oh! Fortunati voi, vestiti! Fortunati! Sulla terra ciò che è certamente più onorato è il vestito, non l’essere umano che vi è sotto”.

“Guai a voi, ipocriti! Voi purificate l’esterno dei vostri piatti, ma intanto li riempite dei vostri furti e dei vostri vizi… (Matteo 23,25)

Una bella giornata.

Aveva piovuto per due settimane.Poi finalmente il cielo sbocciò in una giornata tersa e profumata, azzurrissima. Una di quelle giornate che quasi non si riesce ad immaginare. I lavori agricoli, però, erano rimasti in arretrato e il padrone della fattoria cercava nervosamente il suo bracciante. Mandò la figlia rintracciarlo. La ragazza trovò il bracciante davanti alla sua baracca beatamente seduto nel prato con il sole che gli accarezzava il volto. Lo rimproverò e lo invitò bruscamente a mettersi al lavoro. L’uomo la guardò sorridendo e poi disse: “E tu pensi davvero che io ti possa vendere un giorno come questo?”.

Siamo così abituati a vendere e comprare tutto che non riusciamo più a immaginare che possano esistere anche delle cose “impagabili”.

Il Piano

Durante l’Ascensione Gesù gettò un’occhiata verso la terra che stava piombando nell’oscurità. Soltanto alcune piccole luci brillavano timidamente sulla città di Gerusalemme. L’arcangelo Gabriele, che era venuto ad accogliere Gesù, gli domandò: “Signore, che cosa sono quelle piccole luci?”. “Sono i discepoli in preghiera, radunati intorno a mia Madre. E il mio piano, appena rientrato in cielo, è di inviare loro il mio Spirito, perché quelle fiaccole tremolanti diventino un incendio sempre vivo che infiammi d’amore, poco a poco,  tutti i popoli della terra!”. L’Arcangelo Gabriele osò replicare: “E che farai, Signore, se questo piano non riesce?”. Dopo un istante di silenzio, il Signore gli rispose dolcemente: “Ma io non ho un altro piano…”. 

Tu sei una piccola fiaccola tremolante nell’immensità della notte. Ma fai parte del piano di Dio. E sei indispensabile. Perché non ci sono altri piani.

La ragione di Stato

Il figlio di un re si innamorò, come succede nelle fiabe, della figlia del fornaio, che era povera ma bella. E la sposò. Per alcuni anni i due sposi vissero in piena armonia e felicità. Ma, alla morte del padre, il principe salì sul trono. I ministri e consiglieri si affrettarono a fargli capire che per la salvezza del regno doveva ripudiare la moglie popolana e sposare  invece la figlia del potente re confinante, assicurandosi con questo matrimonio, pace e prosperità.
“Ripudiatela, sire, dopotutto è la figlia di un fornaio”.
Le insistenze dei ministri si fecero sempre più pressanti e alla fine il giovane re cedette.
“Ti devo ripudiare – disse alla moglie -, domani tornerai da tuo padre. Potrai portarti via ciò che ti è più caro”.
Quella sera mangiarono insieme per l’ultima volta. In silenzio. La donna, apparentemente tranquilla, continuava a versare vino nel bicchiere del re. Alla fine della cena, il re sprofondò in un sonno pesante. La donna lo avvolse in una coperta e se lo caricò sulle spalle. Il mattino dopo, il re si svegliò nella casa del fornaio.
“Ma, come?”, si meravigliò.
La moglie le sorrise. “Hai detto che potevo portarmi via ciò che avevo di più caro. Ebbene, ciò che ho di più caro al mondo sei tu”.

E tu, che cosa ti porteresti via?

L’asino e il Flauto

Abbandonato in un campo giaceva da qualche tempo un Flauto che ormai nessuno suonava, finché un giorno un Asino che passava vi soffiò forte dentro facendogli produrre il suono più dolce della sua vita, della vita dell’Asino e del Flauto.Incapaci di capire quel che era accaduto, dato che la razionalità non era il loro forte e ambedue credevano nella razionalità, si separarono in fretta, vergognandosi della cosa migliore che l’uno e l’altro avessero fatto durante la loro triste esistenza. 

Quanti flauti abbandonati e quanti asini, in questa vita.
Molti fra noi rimangono ignoti a se stessi nascondendo chi sono, e chiedono amore ad altri sconosciuti che parimenti si nascondono.
Ma ecco, qualche volta, uno squarcio, una rivelazione, una scintilla… Poi  tutto finisce lì, perché manca il coraggio.
Ci vuole tanto coraggio per amare. Ma ce ne vuole altrettanto per lasciarsi amare.

Il Campo

Un padre lasciò in eredità ai suoi due figli un campo di grano. I due figli divisero equamente il campo. Uno era ricco e non sposato, l’altro povero e con numerosi figli. Una volta, al tempo della mietitura, il fratello ricco si rigirava nel letto di notte e diceva tra sé: “Io sono ricco, a che mi servono tutti quei covoni? Mio fratello è povero, e ha bisogno di molto frumento per la sua famiglia”. Si alzò da letto, andò nella sua parte di campo, prese una gran quantità di mannelli di grano e li portò nel campo del fratello.
Nella stessa notte, suo fratello pensò: “Mio fratello non ha moglie né figli. L’unica cosa in cui può trovare gioia è la sua ricchezza. Io gliela voglio accrescere. Lasciò il proprio giaciglio, andò nella sua parte di campo e portò una gran quantità di mannelli nel campo del fratello.
Quando entrambi, al mattino, si recarono nel proprio campo, si meravigliarono che il grano non fosse diminuito. Nelle notti che seguirono fecero la stessa cosa. Ognuno dei due portava il proprio grano nel campo dell’altro. E ogni mattina scoprivano che il grano non diminuiva.
Ma una notte i due fratelli, con le braccia cariche di grano si incontrarono nel confine dei campi. Si resero conto ridendo di quello che era accaduto e si abbracciarono.
Allora udirono una voce dal cielo: “Questo luogo, sul quale si è manifestato tanto amore fraterno, merita di essere scelto perché su di esso si edifichi il mio tempio: il tempio dell’amore fraterno”.
E in effetti il re Salomone scelse quel posto per la costruzione del tempio.

Oggi il re Salomone riuscirebbe ancora a trovare un posto per il tempio?

L’Arco
Un giorno, il santo abate Antonio conversava con alcuni dei giovani che avevano scelto di vivere come lui nel deserto.Un cacciatore che stava inseguendo una preda si avvicinò con deferenza. Ma vide che il santo abate e i giovani che lo attorniavano ridevano allegri e scuotendo la testa li disapprovò con parole aspre. L’abate Antonio gli parlò con calma. “Metti una freccia nel tuo arco e scoccala”. Il cacciatore lo fece. “Adesso lanciane un’altra, poi un’altra, poi ancora un’altra…”, continuò il sant’uomo. Il cacciatore protestò: “Se piego il mio arco tante volte così, si romperà!”.
L’abate Antonio lo guardò sorridendo: “Succede così anche nella vita spirituale. La via di Dio costa sforzo. Ma se ci sforziamo oltre misura, presto verremo meno. E’ giusto perciò, di tanto in tanto, ricordarci che anche Dio si riposò, il settimo giorno”.

Oggi ricordati dell’arco. E soprattutto ricordati del settimo giorno.

Una lettera d’amore
Per il suo compleanno una principessa ricevette dal fidanzato un pesante pacchetto dall’insolita forma tondeggiante. Impaziente per la curiosità, lo aprì e trovò… una palla di cannone. Delusa e furiosa, scagliò a terra il nero proiettile di bronzo. Cadendo, l’involucro esteriore della palla si aprì e apparve una palla più piccola d’argento. La principessa la raccolse subito. Rigirandola fra le mani, fece una leggera pressione sulla sua superficie. La sfera d’argento si aprì a sua volta e apparve un astuccio d’oro. Questa volta la principessa  aprì l’astuccio con estrema facilità. All’interno, su una morbida coltre di velluto nero, spiccava un magnifico anello, tempestato di splendidi brillanti che facevano corona a due semplici parole: “Ti amo”.

Molta gente pensa: la Bibbia non mi attira. Contiene troppe pagine austere e incomprensibili. Ma chi fa lo sforzo di rompere il primo”involucro”, con attenzione e preghiera, scopre ogni volta nuove e sorprendenti bellezze. E soprattutto verrà presto colpito dalla chiarezza del messaggio divino inciso nella Bibbia: DIO TI AMA.

L’Ubbidienza
Un giorno apparve a Santa Teresa il Bambino Gesù. Ma la Santa non esitò un attimo ad abbandonarlo non appena suonò la campana del convento che chiamava alla preghiera.
Quando, nel noviziato, raccontarono a Santa Bernardette questo edificante esempio di obbedienza e le chiesero che cosa ne pensasse, l’umile veggente di Lourdes rispose che non avrebbe agito allo stesso modo.Sorpresa e un po’ di indignazione tra le compagne.Ma la giovane aggiunse: “Oh, certo, sarei partita anch’io. Ma avrei portato con me il Bambino Gesù. Dopotutto non doveva pesare molto”.

“Prendete il mio giogo sopra di voi… Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero” (Mt. 11,29-30)

 

Il Passerotto beige

C’era una volta un passerotto beige e marrone che viveva la sua esistenza come una successione di ansie e di punti interrogativi. Era ancora nell’uovo e si tormentava: “Riuscirò  mai a rompere questo guscio così duro? Non cascherò dal nido? I miei genitori provvederanno a nutrirmi?”.
Fugò questi timori, ma altri lo assalirono, mentre tremante sul ramo doveva spiccare il primo volo: “Le mie ali mi reggeranno? Mi spiaccicherò al suolo… Chi mi riporterà quassù?”. Naturalmente imparò a volare, ma cominciò a pigolare: “Troverò una compagna? Potrò costruire un nido?”. Anche questo accadde, ma il passerotto si angosciava: Le uova saranno protette? Potrebbe cadere un fulmine sull’albero e incenerire tutta la famiglia… E se verrà il falco e divorerà i miei piccoli? Riuscirò a nutrirli?”. Quando i piccoli si dimostrarono belli, sani, e vispi e cominciarono a svolazzare qua e là, il passerotto si lagnava: “Troveranno cibo a sufficienza? Sfuggiranno al gatto e agli altri predatori?”. Poi, un giorno, sotto l’albero si fermò il Maestro. Additò il passerotto ai discepoli e disse: Guardate gli uccelli del cielo: essi non seminano, non mietono e non mettono il raccolto nei granai…  eppure il Padre vostro che è in cielo li nutre!”.
Il passerotto beige e marrone improvvisamente si accorse che aveva avuto tutto… E non se n’era accorto.

Fa’ l’inventario di quanto possiedi e sii felice.

La Visita

Ogni giorno a mezzogiorno un giovane si affacciava alla porta della chiesa e ripartiva qualche minuto più tardi. Portava un camiciotto a quadri e i jeans sdruciti, come tutti i giovani della sua età. Aveva in mano un sacchetto di carta con i panini per il pranzo.
Insospettito, il parroco gli domandò che cosa venisse a fare. Perché con i tempi che corrono, c’è gente che ruba anche in chiesa.
“Vengo a pregare”, rispose il giovane.  “Pregare… Come fai a pregare così velocemente?”.  “Beh… tutti i giorni mi affaccio in questa chiesa a mezzogiorno e dico soltanto: “Gesù, è Jim”, poi me ne vado. E’ una piccola preghiera, ma sono sicuro che Lui mi ascolta”.
Qualche giorno dopo, per un incidente sul lavoro, il giovane fu trasportato all’ospedale con alcune fratture molto dolorose.
Fu sistemato in una camera con altri ricoverati. Il suo arrivo cambiò il reparto. Dopo un paio di giorni la sua camera era divenuta un punto d’incontro per tutti i pazienti del corridoio. Giovani e anziani si davano appuntamento intorno al suo letto e lui aveva un sorriso e una battuta d’incoraggiamento per tutti. Venne a visitarlo anche il parroco e, accompagnato da un’infermiera, si recò accanto al letto del giovane.  “Mi hanno detto che sei molto malconcio, ma che nonostante questo conforti tutti gli altri. Come fai?”.
“E’ grazie a uno che mi viene a trovare tutti i giorni a mezzogiorno”.
L’infermiera lo interruppe: “Ma non c’è nessuno che viene a mezzogiorno”.  “Oh, sì! Viene tutti i giorni, si affaccia alla porta della camera e dice: “Jim, è Gesù” e se ne va”.

Un brav’uomo passava ogni giorno davanti a un’immagine di Maria dipinta sul muro di una strada. Ogni volta le rivolgeva un saluto: “Buon giorno, Madre!”.  Una sera, dopo qualche anno, sentì distintamente una voce provenire dall’immagine: “Buona sera, figliolo!”.  Se non sentiamo la risposta alle nostre preghiere è perché in fondo non ce l’aspettiamo.

 

Non sono in vendita

Una giovane coppia entrò nel più bel negozio di giocattoli della città.
L’uomo e la donna guardarono a lungo i colorati giocattoli allineati sugli scaffali, appesi al soffitto, in lieto disordine sui banconi.
C’erano bambole che piangevano e ridevano, giochi elettronici, cucine in miniatura che cuocevano torte e pizze.
Non riuscivano a prendere una decisione. Si avvicinò a loro una graziosa commessa.
“Vede”, spiegò la donna, “noi abbiamo una bambina molto piccola, ma siamo fuori casa tutto il giorno e spesso anche la sera”.
“E’ una bambina che sorride poco”, continuò l’uomo.
“Vorremmo comprarle qualcosa che la renda felice”, riprese la donna, “anche quando noi non ci siamo… Qualcosa che le dia gioia anche quando è sola”.
“Mi dispiace, sorrise gentilmente la commessa. “Ma noi non vendiamo genitori”.

Decidere di avere un figlio è contrarre con lui il debito più grande che mente umana possa immaginare. Tutti i piccoli vengono da noi con il biglietto d’invito per la vita e ci dicono: “Mi hai chiamato. Sono qui. Che cosa mi dai?”. Qui comincia ogni compito educativo.

Chi è povero?

Poco prima di Natale, la maestra fece due domande:
“Chi considerate povero fra di voi? E chi dovrebbe ricevere un regalo a Natale?”.
I bambini che si consideravano poveri alzarono la mano. La città era piccola e tutti si conoscevano. Non solo per nome, ma si sapeva anche dove uno viveva, che cosa faceva, chi erano i suoi parenti e quanti soldi aveva. Dopo la scuola la maestra chiamò nel suo ufficio Dini, un bambino di otto anni. I suoi genitori erano arrivati dall’Africa da poco tempo e tutti sapevano che erano poverissimi.  Lo fece sedere e gli chiese come mai non aveva alzato la mano.
Dini rispose: “Perché non sono povero”.
“E chi è povero secondo te?”.
“I bambini che non hanno i genitori”.
Lei lo fissò sbalordita, in totale silenzio, poi lo congedò.
L’indomani il padre di Dini tornò a casa con un largo sorriso stampato sulla faccia. Disse che la maestra era andata a fargli visita sul posto di lavoro. “Dovremmo essere molto fieri di nostro figlio!” aggiunse e riferì alla mamma che cosa gli aveva detto l’insegnante.
La vigilia di Natale Dini ebbe il suo pacco regalo! Conteneva due paia di scarpe nuove di zecca: uno per lui e uno per la sorellina. Non avevano mai avuto un paio di scarpe nuove.
Ma se anche non fossero arrivato il pacco regalo, Dini sapeva che la sua era la famiglia più  ricca del mondo, perché possedeva l’amore che nessun conto in banca ti può garantire.

Progresso

Quando la nonna andava a far visita a sua madre, aveva bisogno di tre giorni. Un giorno per viaggiare sul calesse trainato dal cavallo; un giorno per raccontare e apprendere le ultime notizie, un po’ in cucina e un po’ in giardino; il terzo giorno per il viaggio di ritorno.
Quando mia madre andava a far visita a sua madre, aveva bisogno di due giorni: Viaggiava in treno e, se era fortunata con le coincidenze, si fermava la sera del primo giorno, raccontava le ultime novità e il giorno dopo ripartiva.
Quando io faccio visita a mia madre, impiego mezz’ora. Vado in auto e mi fermo giusto una decina di minuti perché i bambini si annoiano e sono sempre in ritardo con le spese al supermercato.

Se un giorno mia figlia mi verrà a far visita, di quanto tempo avrà bisogno?

Nel villaggio gli uomini e le donne si incontravano alla fontana e chiacchieravano, si scambiavano informazioni, si aiutavano mentre riempivano otri, secchi e anfore. Nel tragitto di ritorno, camminando lentamente sotto il peso dell’acqua, ciascuno aveva  tempo e calma per pensare, e perfino per pregare.
Poi fu istallata l’acqua potabile. Così ciascuno se ne sta a casa sua.
E’ tutto molto più comodo e si fa molto più in fretta. Ma non c’è nessuno con cui parlare e neanche il tempo per pensare.

La Scelta

Un uomo si sentiva permanentemente oppresso dalle difficoltà della vita e se ne lamentò con un famoso maestro dello spirito.
“Non ce la faccio più! Questa vita mi è insopportabile”.
Il maestro prese una manciata di cenere e la lasciò cadere in un bicchiere pieno di limpida acqua da bere che aveva sul tavolo, dicendo: “Queste sono le tue sofferenze”.
Tutta l’acqua del bicchiere s’intorbidì e s’insudiciò. Il maestro la buttò via.  Il maestro prese un’altra manciata di cenere, identica alla precedente, la fece vedere all’uomo, poi si affacciò alla finestra e la buttò in mare. La cenere si disperse in un attimo e il mare rimase esattamente com’era prima.
“Vedi?” spiegò il maestro. “Ogni giorno devi decidere se  essere un bicchiere d’acqua o il mare”.

Troppi cuori piccoli, troppi animi esitanti, troppe menti ristrette e braccia rattrappite.

Una delle mancanze più serie del nostro tempo è il coraggio. Non la stupida spavalderia, la temerarietà inco-sciente, ma il vero coraggio che di fronte ad ogni problema fa dire tranquillamente: “Da qualche parte certamente c’è una soluzione ed io la troverò”.

Il Povero

C’era una volta una famiglia serena e tranquilla che viveva in una piccola casa di periferia. Una sera i membri della famiglia erano seduti a cena, quando udirono bussare alla porta. Il padre andò alla porta e l’aprì. C’era un vecchietto in abiti laceri, con i pantaloni strappati e senza bottoni. Portava un cesto pieno di verdura. Chiese alla famiglia se volevano acquistare un po’ di verdura. Loro lo fecero subito, perché volevano che se ne andasse.
Con il tempo, il vecchietto e la famiglia fecero amicizia. L’uomo portava la verdura per la famiglia ogni settimana. Scoprirono che soffriva di cataratta e che era quasi cieco. Ma era così gentile che impararono ad aspettare con ansia le sue visite e ad apprezzare la sua compagnia.
Un giorno, mentre consegnava la verdura, il vecchio disse: “Ieri ho ricevuto un grande regalo! Ho trovato fuori della mia casa un cesto di vestiti che qualcuno ha lasciato per me”.
Tutti quanti, sapendo quanto lui avesse bisogno di vestiti, dissero: “Meraviglioso!”.
E il vecchio cieco disse: “Ma la cosa più meravigliosa è che ho trovato una famiglia che aveva davvero bisogno di quei vestiti”.

La gioia di donare è più forte della vita. E’ veramente povero chi non la prova mai.

Il Falco Pigro

Un grande re ricevette in omaggio due pulcini di falco e si affrettò a consegnarli al Maestro di Falconeria perché li addestrasse. Dopo qualche mese, il maestro comunicò al re che uno dei due falchi era perfettamente addestrato.
“E l’altro?” chiese il re.   “Mi dispiace, sire, ma l’altro falco si comporta stranamente; forse è stato colpito da una malattia rara, che non siamo in grado di curare. Nessuno riesce a smuoverlo dal ramo dell’albero su cui è stato posato il primo giorno. Un inserviente deve arrampicarsi ogni giorno per portargli il cibo”.
Il re convocò veterinari e guaritori ed esperti di ogni tipo, ma nessuno riuscì a far volare il falco. Incaricò del compito i membri della corte, i generali, i consiglieri più saggi, ma nessuno poté schiodare il falco dal suo ramo.
Dalla finestra del suo appartamento, il monarca poteva vedere il falco immobile sull’albero, giorno e notte. Un giorno fece proclamare in editto in cui chiedeva ai suoi sudditi un aiuto per il problema.  Il mattino seguente, il re spalancò la finestra e, con grande stupore, vide il falco che volava superbamente tra gli alberi del giardino.
“Portatemi l’autore di questo miracolo”, ordinò. Poco dopo gli presentarono un giovane contadino. “Tu hai fatto volare il falco” Come hai fatto? Sei un mago, per caso?”, gli chiese il re.  Intimidito e felice, il giovane spiegò. “Non è stato difficile, maestà. Io ho semplicemente tagliato il ramo. Il falco si è reso conto di aver le ali ed ha incominciato a volare”.

Talvolta, Dio permette a qualcuno di tagliare il ramo a cui siamo tenacemente attaccati, affinché ci rendiamo conto di avere le ali.

Al parco

Un bambino voleva conoscere Dio. Sapeva che era un lungo viaggio arrivare dove abitava Dio, ed è per questo che un giorno mise dentro al suo cestino dei dolci, marmellata e bibite e cominciò la sua ricerca.  Dopo aver camminato per trecento metri circa, vide una donna anziana seduta su una panchina nel parco. Era sola e stava osservando alcune colombe.
Il bambino gli si sedette vicino ed aprì il suo cestino. Stava per bere la sua bibita quando gli sembrò che la vecchietta avesse fame, ed allora le offrì uno dei suoi dolci.  La vecchietta riconoscente accettò e sorrise al bambino. Il suo sorriso era molto bello, tanto bello che il bambino le offrì un altro dolce per vedere di nuovo il suo sorriso.  Il bambino era incantato! Si fermò molto tempo mangiando e sorridendo.  Al tramonto il bambino, stanco, si alzò per andarsene, però prima si volse indietro, corse verso la vecchietta e la abbracciò. Ella, dopo averlo abbracciato, gli diede il più bel sorriso della sua vita.
Quando il bambino arrivò a casa sua ed aprì la porta, la sua mamma fu sorpresa nel vedere la sua faccia piena di felicità, e gli chiese: “Figlio, cosa hai fatto che sei tanto felice?”. Il bambino rispose: Oggi ho fatto merenda con Dio!”. E prima che sua mamma gli dicesse qualche cosa aggiunse: “E sai? Ha il sorriso più bello che ho mai visto!”.
Anche la vecchietta arrivò a casa raggiante di felicità. Suo figlio restò sorpreso per l’espressione di pace stampata sul suo volto e le domandò: “Mamma, cosa hai fatto oggi che ti ha reso tanto felice?”.  La vecchietta rispose: “Oggi ho fatto merenda con Dio, nel parco!”. E prima che suo figlio rispondesse, aggiunse: “E sai? E’ più giovane di quel che pensavo!”.

Donare

Per la strada camminavano mamma e bambino. Il bambino aveva in mano un dolce. Passarono davanti ad una povera donna che stendeva la mano verso i passanti. Accanto a lei stava accucciato un ragazzino sporco, infagottato in abiti unti e troppo larghi per lui. Il bambino, sempre tenendo la mano della mamma si fermò e guardò sconcertato il ragazzino. Poi guardò il dolce che aveva in mano e la mamma, quasi per chiedere il permesso. La mamma acconsentì con un leggero movimento della testa. Il bambino tese la mano verso lo zingarello e gli donò il dolce. Poi ripartì trotterellando accanto alla mamma.
Un passante, che aveva assistito alla scena, disse alla mamma: “Adesso gli comprerà un altro dolce, magari più grosso?”. La mamma rispose semplicemente : “No”. “No? Perché?”. “Perché chi dona rinuncia”.

Un granello di frumento si nascose nel granaio.
Non voleva essere seminato.
Non voleva morire.
Non voleva essere sacrificato.
Voleva salvare la propria vita.
Non gli importava niente di diventare pane.
Né di essere portato a tavola.
Né di essere benedetto e condiviso.
Non avrebbe mai donato vita.
Non avrebbe mai donato gioia
Un giorno arrivò il contadino.
Con la polvere del granaio spazzò via anche il granello di frumento.

Tutto

Il piccolo e zoppo Leonardo (detto Leo) e Tommaso erano arrivati all’istituto per bambini senza famiglia lo stesso giorno, pochi mesi  dopo la nascita. Le volontarie erano molto buone con loro, un po’ meno i bambini della scuola pubblica che frequentavano.  Erano crudeli spesso con il timido Leo, ma Tommaso sapeva metterli a posto, perché era un bambino robusto e intelligente: il più bravo a scuola e il più svelto in cortile. Era Tommaso che aiutava Leo, gli stava sempre vicino. Lo consolava quando aveva paura, lo aspettava durante le passeggiate, giocava con lui perché non sentisse la malinconia del suo handicap, lo faceva ridere raccontandogli storie buffe.

All’istituto venivano spesso le coppie che facevano conoscenza con i bambini e li portavano fuori a mangiare in vista di una possibile adozione. Nessuno si interessava a Leo e Tommaso inventava sempre una scusa o si metteva a fare mattane per non uscire. Lo aveva fatto solo due volte, con il dottor Turrini e sua moglie Anna.  Una domenica, il dottor Turrini chiamò Tommaso e lo guardò negli occhi: “Sei un bambino veramente in gamba! Ti piacerebbe venire a vivere con noi? Saresti in affidamento per un po’, ma noi ti vorremmo adottare. Come vero figlio. che ne dici?”  Tommaso rimase senza parole. Avere una mamma e un papà, come tutti. “Oh, oh s-s-sì, signore!”, mormorò.

Improvvisamente la gioia svanì dai suoi occhi. Se Tommaso se ne andava, chi si sarebbe preso cura del piccolo e zoppo Leo?  “Io… vi ringrazio tanto, signore”, disse. “Ma non posso venire, signore!”. E prima che il dottore scorgesse le sue lacrime, corse via.

Poco dopo, il dottore lo venne a cercare con una delle volontarie. Tommaso stava aiutando Leo a infilarsi la scarpa speciale. Il dottore lanciò uno sguardo penetrante a Tommaso. “E’ per lui che non hai voluto venire a stare con noi, figliolo?”. “Beh, io… io sono tutto quello che lui ha”, rispose il bambino.

Certamente c’è qualcuno per il quale tu sei  “tutto quello che ha”.

Il Fiume

Tre persone si trovarono un giorno davanti a un fiume dalle acque rapide e minacciose. Tutte e tre dovevano passare dall’altra parte. Era molto importante per loro.
Il primo, un mercante scaltro e gran trafficante abile nel gestire uomini e cose, si inginocchiò e rivolse un pensiero a Dio: “Signore, dammi il coraggio di buttarmi in queste acque minacciose e di attraversare il fiume. Dall’altra parte mi attendono affari importanti. Raddoppierò i miei guadagni, ma devo fare in fretta…”. Si alzò e, dopo un attimo di esitazione si tuffò nell’acqua. Ma l’acqua lo trascinò a valle.

Il secondo, un soldato noto per la l’integrità e la forza d’animo, si mise sull’attenti e pregò: Signore, dammi la forza di superare questo ostacolo. Io vincerò il fiume, perché lottare per la vittoria è il mio motto”. Si buttò senza tentennare, ma la corrente era più forte di lui e lo portò via.

La terza persona era una donna. A casa l’attendevano marito e figli. Anche lei s’inginocchiò e pregò: “Signore, aiutami, dammi il consiglio e la saggezza per attraversare questo fiume minaccioso”. Si alzò e s’accorse che poco lontano un pastore sorvegliava il gregge al pascolo. “C’è un mezzo per attraversare questo fiume?” gli chiese la donna.
“A dieci minuti di qui, dietro quella duna, c’è un ponte”, rispose il pastore.

A volte basta un briciolo di umiltà. E qualcuno che dia l’indicazione giusta.

La Legge

Alla canonica bussò un giovane sporco e male in arnese. Era uno spacciatore, ricercato dalla polizia e da una banda di feroci rivali, e non sapeva più dove nascondersi.  L’anziano prete che aprì la porta, fu turbato e imbarazzato da quella visita.
“Mi faccia entrare, padre. Sono disperato”.
“Va bene. Questa notte puoi rimanere qui. Ma solo per questa notte. Domani mattina te ne devi andare!”.
Quella notte l’anziano prete morì e arrivò in Paradiso.
Gesù lo accolse con gentilezza e gli disse: “In verità tutte le volte che hai fatto qualcosa a uno dei più piccoli di questi miei fratelli, lo hai fatto a me!”.
Il prete fu felice di queste parole.
Ma Gesù continuò: “Vieni, entra in Paradiso. Questa notte puoi rimanere qui. Ma solo per questa notte. Domani mattina te ne dovrai andare!”.

Gesù non parla “per finta”.
“Non tutti quelli che dicono: “Signore, Signore!” entreranno nel regno di Dio. Vi entreranno soltanto quelli che fanno la volontà del Padre mio che è in cielo.
Quando verrà il giorno del giudizio, molti mi diranno: Signore, Signore! Tu sai che noi abbiamo predicato in tuo nome, e invocando il tuo nome abbiamo scacciato demoni e abbiamo fatto molti miracoli”.
Ma allora io dirò: Non vi ho mai conosciuti. Andate via da me, gente malvagia!” (Mt 7,21-23).

Qualcun Altro

Durante un’escursione in montagna, un uomo improvvi-samente scivolò lungo un pendio ripido, ammaccandosi e sbattendo contro le pietre, rallentò come poté la sua rovinosa caduta e si afferrò con entrambe le mani ad un arbusto proprio sull’orlo di un precipizio spaventoso.
Sentendo che le forze gli venivano meno, alzò gli occhi al cielo e gridò: “C’è qualcuno lassù?”.
Dopo un attimo di profondo silenzio, una voce tonante rispose: “Sì”.
“Che cosa devo fare?”.
“Di’ una preghiera e salta” rispose la voce.
L’uomo rimase in silenzio per un po’.
E poi gridò nuovamente: “C’è qualcun altro lassù?”.Nel deserto, gli Ebrei dissero ad Aronne: “Facci un Dio su misura per noi…”.

Una donna straordinaria

Mauro proveniva da una buona famiglia, con genitori amorevoli, due fratelli e una sorella, che avevano successo nella vita scolastica e sociale. Vivevano in un bel quartiere e Mauro aveva tutto quello che un ragazzino può desiderare. Ma alle elementari, Mauro fu subito etichettato come soggetto “speciale”. Nelle medie era il “disadattato piantagrane”. Alle scuole superiori cominciò a inanellare espulsioni e voti disastrosi.

Una domenica, un insegnante incrociò la famiglia e disse: “Mauro sta facendo molto bene in questo periodo. Siamo molto soddisfatti di lui”. “Forse ci sta confondendo con un’altra famiglia” disse il padre: “Il nostro Mauro non ne azzecca mai una. Siamo molto imbarazzati e non sappiamo capire perché”. Mentre l’insegnante se ne andava, la madre osservò: “Però, a pensarci bene, Mauro non si è cacciato nei guai nell’ultimo mese. Inoltre è sempre andato a scuola presto e si è sempre fermato più del necessario. Che cosa starà succedendo?”. Alla consegna della prima pagella, i genitori di Mauro si aspettavano voti bassi e note insoddisfacenti sul comportamento. Invece sulla pagella c’erano voti più che sufficienti e una menzione speciale in condotta. Mamma e papà erano sconcertati. “A chi ti sei seduto vicino, per avere questi voti?” chiese papà con sarcasmo.

“Ho fatto tutto da solo” rispose umilmente Mauro. Perplessi e non completamente convinti, i genitori di Mauro lo portarono a scuola per parlare con il preside. Egli assicurò loro  che Mauro stava andando molto bene. “Abbiamo una nuova insegnante di sostegno, e sembra che lei abbia una particolare influenza su Mauro” disse. “Penso che dovreste conoscerla”.

Quando il trio si avvicinò, la donna aveva il capo abbassato. Le ci volle un istante per accorgersi che aveva visite. Quando lo capì, si alzò in piedi e iniziò a gesticolare con le mani.  “Cos’è questo?” chiese indignato il padre di Mauro. “Linguaggio dei segni? Questa donna è sordomuta!”.  “Ecco perché è così straordinaria” disse Mauro, mettendosi in mezzo. “Lei fa molto di più, papà. Lei sa ascoltare!”.

Parlare significa condividere. Ascoltare significa amare.

L’Aquilone

Una tersa e ventilata mattina di marzo, un bambino, aiutato dal nonno, fece innalzare nel cielo un magnifico aquilone.
Portato dal vento, l’aquilone saliva e saliva sempre più in alto, finché divenne solo un puntino.
Il filo si srotolava e seguiva l’aquilone verso l’alto, ma il nonno aveva legato saldamente una estremità del filo al polso del bambino.Lassù  nell’azzurro, l’aquilone dondolava tranquillo e sicuro, seguendo le correnti.
Due grossi piccioni chiacchieroni, che volavano pigramente, si affiancarono all’aquilone e cominciarono a fare commenti sui suoi colori.

“Sei vestito proprio in ghingheri, amico”, disse uno.
“Dai, vieni con noi. Facciamo una gara di resistenza”, disse l’altro.
“Non posso”, disse l’aquilone.
“Perché?”.
“Sono legato al mio padroncino, laggiù sulla terra”.

I due piccioni guardarono in giù.

“Io non vedo nessuno”, disse uno.
“Neppure io lo vedo”, rispose l’aquilone, “ma sono sicuro che c’è: perché ogni tanto sento uno strattone al filo”.

Sii felice se ogni tanto Dio dà uno strattone al tuo filo. Non lo vedi, ma è legato a te. E non ti lascerà perdere. Mai.

Il Conto

Una sera, mentre la mamma preparava la cena, il figlio undicenne si presentò in cucina con un foglietto in mano.
Con aria stranamente ufficiale il bambino porse il pezzo di carta alla mamma, che si asciugò le mani col grembiule e lesse quanto vi era scritto:

“Per aver strappato le erbacce nel vialetto:  €  3
Per aver ordinato la mia cameretta: € 5
Per essere andato a comperare il latte: € 0,50
Per aver badato alla sorellina (tre pomeriggi): € 9
Per aver preso due volte “ottimo” a scuola: € 5
Per aver portato fuori l’immondizia tutte le sere: € 4.
Totale  € 26,50

La mamma fissò il figlio negli occhi, teneramente. La sua mente si affollò di ricordi. Prese una biro e, sul retro del foglietto, scrisse:

“Per averti  portato in grembo 9 mesi: € 0.
Per tutte le notti passate a vegliarti quando eri ammalato: € 0
Per tutte le volte che ti ho cullato quando eri triste: € = 0
Per tutte le volte che ho asciugato le tue lacrime: € 0
Per tutto quello che ti ho insegnato, giorno dopo giorno: € 0
Per tutte le colazioni, i pranzi, le merende, le cene e i panini che ti ho preparato: € 0.
Per la vita che ti do ogni giorno: € 0.
Totale: € 0”.

Quando ebbe terminato, sorridendo la mamma diede il foglio al figlio. Quando il bambino ebbe finito di leggere ciò che la mamma aveva scritto, due lacrimoni fecero capolino nei suoi occhi.

Girò il foglio e sul conto scrisse: “Pagato”. Poi saltò al collo della madre e la sommerse di baci.

Quando nei rapporti personali e familiari si cominciano a fare i conti, tutto è finito. L’amore è gratuito. O non è.

“In un giorno caldo, preparai dei coni gelato e dissi ai miei quattro figli che potevano comprarli per un abbraccio. Quasi subito, i ragazzi si misero in fila per fare il loro “acquisto”. I tre più piccoli mi diedero una veloce stretta, afferrarono il cono e corsero di nuovo fuori. Ma quando venne il turno di mio figlio adolescente, l’ultimo della fila, ricevetti due abbracci. “Tieni il resto”, disse con un sorriso.

L’educazione

“Quand’ero adolescente”, raccontava un uomo ad un amico, “mio padre mi mise in guardia da certi posti in città. Mi disse: “Non andare mai in una discoteca, figlio mio”.
“Perché no, papà?” domandai.
“Perché vedresti cose che non devi vedere”.
Questo ovvio suscitò la mia curiosità. E alla prima occasione andai in una discoteca.
“E hai visto qualcosa che non dovevi vedere?” domandò l’amico.
“Certo” rispose l’uomo. “Ho visto mio padre”.

Un bambino in piedi sul letto nel suo pigiamino rosso punta il dito contro la mamma e fieramente dichiara:
“Io non voglio essere intelligente. Io non voglio essere beneducato. Io voglio essere come papà!”.
L’esempio non è uno dei tanti metodi per educare.  E’ l’unico.

La Soluzione

Un’allegra e vorace comunità di piccioni aveva eletto come domicilio il sagrato di una chiesa.  Dopo i matrimoni, le fessure del lastrico si riempivano di chicchi di riso che facevano la gioia dei volatili. Qualche chicco finiva anche oltre il portale della chiesa e, presi dall’entusiasmo, i piccioni finirono per entrare dentro la chiesa.

Qualcuno restava dentro anche durante le funzioni domenicali, e operava incursioni che disturbavano e distraevano i fedeli. Senza contare le “firme” oltraggiose lasciate sulle statue dei santi.

Il parroco esasperato, convocò in seduta straordinaria il Consiglio Pastorale, mettendo all’ordine del giorno la soluzione del problema.

“Dobbiamo assolutamente fare qualcosa per impedire ai piccioni di entrare in chiesa!”.

Parlò per primo un consigliere, forse discendente di Erode, che disse: “Buttiamo del riso avvelenato e facciamoli fuori tutti!”.

L’anima francescana di molti consiglieri si ribellò con veemenza: “Questo mai! Portiamoli in qualche cascina in campagna dove vivranno felici e in compagnia!”.

Ma anche questa soluzione non sembrò praticabile. Furono ugualmente bocciate la proposta di procurare un rapace opportunamente addestrato per catturare piccioni, come pure quella di istallare pesanti reti sulle porte e sulle finestre della chiesa.  Alla fine, quando cominciava a serpeggiare un silenzio imbarazzato, il più anziano del Consiglio domandò: “Insomma, voi volete che i piccioni non entrino più in chiesa?”.   “Sì!” gridarono in coro i consiglieri.   “Volete proprio non vederceli mai più?”. “Sì!” urlarono i consiglieri, spazientiti.  �
“Allora è facile” replicò il vecchietto. “Fate così: battezzateli, fateli fare la Prima Comunione, cresimateli e in chiesa non li vedrete mai più…”.

“Papà, tu sei un pinguino?”.    “Sì…”   “Papà, e anche il nonno è un pinguino?”.      “Sì, anche il nonno è un pinguino”…..

“Ma allora, perché sento così freddo?”.

Oggi, una generazione di esseri umani sente un gran freddo. I bambini e i ragazzi sono come le lampadine spente. Tante ore di religione, tanto catechismo, ma la luce non si accende. E tutto perché chi ha in mano l’interruttore ha scordato come si fa ad accendere la luce.

Gli Occhi

Una giovane mamma, in cucina, preparava la cena con la mente totalmente concentrata su ciò che stava facendo: preparare le patatine fritte.
Stava lavorando sodo proprio per preparare un piatto che i bambini avrebbero apprezzato molto. Le patatine fritte era il piatto preferito dai bambini.
Il bambino più piccolo di quattro anni aveva avuto un’intensa giornata alla scuola materna e raccontava alla mamma quello che aveva visto e fatto.
La mamma gli rispondeva distrattamente con monosillabi e borbottii.
Qualche istante dopo si sentì tirare la gonna e udì: “Mamma…”.
La donna accennò di sì col capo e borbottò anche qualche parola. Sentì altri strattoni alla gonna e di nuovo: “Mamma…”. Gli rispose ancora una volta brevemente e continuò imperterrita a sbucciare patate.
Passarono cinque minuti. Il bambino si attaccò alla gonna della mamma e tirò con tutte le sue forze.
La donna fu costretta a chinarsi verso il figlio.
Il bambino le prese il volto fra le manine paffute, lo portò davanti al proprio e disse: “Mamma, ascoltami con gli occhi!”.

***

Una giovane donna ha lasciato questo breve scritto a sua madre:

“Quando pensavi che non stessi guardando, hai appeso il mio primo disegno al frigorifero e ho avuto voglia di continuare a stare a casa nostra per dipingere.

Quando pensavi che non stessi guardando, hai dato da mangiare ad un gatto randagio ed è da allora che ho capito che è bene prendersi cura  degli animali.

Quando pensavi che non stessi guardando, hai cucinato apposta per me una torta di compleanno e ho compreso che le piccole cose possono essere molto speciali.

Quando pensavi che non stessi guardando, hai recitato una preghiera e io ho cominciato a credere nell’esistenza di un Dio con cui si può sempre parlare.

Quando pensavi che non stessi guardando, mi hai dato il bacio della buonanotte e ho capito che mi volevi bene.

Quando pensavi che non stessi guardando, ho visto le lacrime scorrere sui tuoi occhi e ho imparato che, a volte, le cose vanno male ma che piangere fa bene.

Quando pensavi che non stessi guardando, hai sorriso e ho avuto voglia di essere gentile come te.

Quando pensavi che non stessi guardando, ti sei preoccupata per me e ho avuto voglia di diventare me stessa.

Quando pensavi che non stessi guardando, io guardavo e ho voluto dirti grazie per tutte quelle cose che hai fatto, quando pensavi che non stessi guardando”. 

La Cura

Il medico scosse il capo deluso. Il suo paziente non dava segni di miglioramento. Da dieci giorni ormai, l’anziano non reagiva più alle cure. Si era abbandonato sul letto di ospedale e sembrava non avesse più voglia di lottare per la vita. Stanco e rassegnato.

Il giorno dopo, il medico che lo visitava scosse nuovamente il capo. Ma per la sorpresa tutti i valori dell’anziano erano tornati a posto. Il  vecchietto stava seduto, appoggiato ai cuscini e aveva ripreso colore.

“Ma che cosa le è successo”? chiese il medico. “Solo ieri disperavamo per la sua vita. E adesso tutto funziona a meraviglia! Si può sapere che cosa le è capitato?”.

Il vecchietto sorrise. Annuì a lungo e disse: “Ha ragione. Qualcosa è capitato, ieri. Ieri è venuto a trovarmi mio nipotino e mi ha detto: “Nonno, devi tornare subito a casa: la mia bicicletta si è rotta!”.

***

Dicevano che era un po’ matta. Nella casa di riposo per anziani, la vecchia signora aveva una strana abitudine. Tutte le sere abbracciava e baciava il televisore.

L’assistente le chiese: “Ma perché lo fa?”.

“Quel presentatore è l’unica persona del mondo che mi saluta e mi sorride”.

Progetti

Un giovane e una ragazza sono appoggiati al parapetto di una nave lussuosa. Si tengono teneramente abbracciati. Si sono appena sposati e questa crociera è la loro luna di miele. Stanno parlando del loro presente pieno di tenerezza e amore  e del loro futuro che appare roseo.
Il giovane dice: “Il mio lavoro ha ottime prospettive e potremo presto trasferirci in una casa più grande. Fra otto o dieci anni potrò mettermi in proprio. Vedrai, saremo felici”.
La giovane sposa continua: “Sì, e i nostri bambini potranno frequentare le scuole migliori e crescere nella serenità”.
Si baciano e se ne vanno. Su un salvagente, legato al parapetto si può vedere il nome della nave: Titanic.

L’ex giornalista e commentatore televisivo John Chancellor si preparava a godersi la meritata pensione, quando fu colpito da un tumore allo stomaco.
Con la malattia arrivarono i soliti sensi di colpa: Ho fumato, bevuto e fatto altre cose che non dovevo? Mi sono preoccupato abbastanza della mia salute? Nella mia famiglia non c’erano mai stati casi di cancro. Perché proprio a me?“Il cancro” dice ”ci ricorda che siamo legati a un guinzaglio molto corto. Come ho letto da qualche parte:Volete far ridere Dio? Parlategli dei vostri progetti”.

 

Il segreto

Celebravano i 50 anni di matrimonio. Erano felici, circondati da figli e nipoti.
Al marito fu chiesto quale fosse il segreto di un matrimonio così duraturo. Il vecchio signore chiuse un attimo gli occhi e poi, come ripescando nella memoria un ricordo lontano, raccontò.
“Lucia, mia moglie, era l’unica ragazza con cui fossi mai uscito. Ero cresciuto in un orfanatrofio e avevo sempre lavorato duro per ottenere quel poco che avevo. Non avevo mai avuto tempo di uscire con le ragazze, finché Lucia non mi conquistò. Prima ancora di rendermi conto di quello che stava accadendo, l’avevo chiesta in moglie.
Eravamo così giovani, tutti e due. Il giorno delle nozze, dopo la cerimonia in chiesa, il padre di Lucia mi prese in disparte e mi diede in mano un pacchettino. Disse: “Con questo regalo, non ti servirà altro per un matrimonio felice”.
Ero agitato e litigai un po’ con la carta e il nastro prima di riuscire a scartare il pacchetto.
Nella scatola c’era un grosso orologio d’oro. Lo sollevai con cautela. Mentre lo osservavo da vicino, notai un’incisione sul quadrante: era un’esortazione molto saggia e l’avrei vista tutte le volte che avessi controllato l’ora”.
L’anziano signore sorrise e mostrò il suo vecchio orologio. C’erano delle parole un po’ svanite, ma ancora leggibili incise sul quadrante. Quelle parole recano in sé il segreto di un matrimonio felice.

Erano le seguenti: “Di’ qualcosa di carino a Lucia”.

Di’ qualcosa di carino alla persona che ami. Adesso.

Un giorno qualunque

“Mamma, guarda!” esclamò Marta, la bambina di sette anni.
“Già, già!”  mormorò nervosamente la donna mentre guidava e pensava alle tante cose che l’attendevano a casa.
Poi seguirono la cena, la televisione, il bagnetto, varie telefonate e arrivò anche l’ora di andare a dormire.
“Forza, Marta, è ora di andare a letto!”. E lei si avviò di corsa su per le scale. Stanca morta, la mamma le diede un bacio, recitò le preghiere con lei e le aggiustò le coperte.
“Mamma, ho dimenticato di darti una cosa!”.
“Me la darai domattina”, rispose la mamma, ma lei scosse la testa.
“Ma poi domattina non avrai più tempo!” esclamò Marta.�
“Lo troverò, non preoccuparti” disse la mamma, un po’ sulla difensiva. “Buona notte!” aggiunse e chiuse la porta con decisione.
Però non riusciva a togliersi dalla mente gli occhioni delusi di Marta.   Tornò nella stanza della bambina, cercando di non fare rumore. Riuscì a vedere che stringeva in una mano dei pezzetti di carta.�
Si avvicinò e piano piano aprì la manina di Marta. La bambina aveva stracciato in mille pezzi un grande cuore rosso con una poesia scritta da lei che si intitolava Perché voglio bene alla mia mamma. Facendo molta attenzione recuperò tutti i pezzetti e cercò di ricostruire il foglio.

Una volta ricostruito il puzzle riuscì a leggere quello che aveva scritto Marta:  “Perché voglio bene alla mia mamma.”

Anche se lavori tanto e hai mille cose da fare trovi sempre un po’ di tempo per giocare.
Ti voglio bene mamma perché sono la parte più importante del giorno per te”.

Quelle parole le volarono dritto al cuore. Dieci minuti più tardi tornò nella camera della bambina portando un vassoio con due tazze di cioccolata e due fette di torta. Accarezzò teneramente il volto paffuto di Marta.

“Cos’è successo?” chiese la bambina, confusa da quella visita notturna.
“E’ per te, perché sei la parte più importante della mia giornata!”.

La bambina sorrise, bevve metà della cioccolata e si riaddormentò.

Chi è la parte più importante della tua giornata?

Una vita nascosta

Figlio di una ragazza madre, era nato in un oscuro villaggio. Crebbe in un altro villaggio, dove lavorò come falegname fino a trent’anni. Poi, per tre anni, girò la sua terra predicando.Non scrisse mai un libro. Non ottenne mai una carica pubblica. Non ebbe mai né una famiglia né una casa.   Non frequentò l’università. Non si allontanò più di trecento chilometri da dov’era nato. Non fece nessuna di quelle cose che di solito si associano al successo. Non aveva altre credenziali che se stesso. Aveva solo trentatré anni  quando l’opinione pubblica gli si rivoltò contro. I suoi amici fuggirono. Fu venduto ai suoi nemici e subì un processo che era una farsa. Fu inchiodato a una croce, in mezzo a due ladri. Mentre stava morendo, i suoi carnefici si giocavano a dadi le sue vesti, che erano l’unica proprietà che avesse in terra. Quando morì venne deposto in un sepolcro messo a disposizione da un amico mosso a pietà. Due giorni dopo, quel sepolcro era vuoto. Sono trascorsi venti secoli e oggi Egli è la figura centrale nella storia dell’umanità.    Neppure gli eserciti che hanno marciato, le flotte che sono salpate, i parlamenti che si sono riuniti, i re che hanno regnato, i pensatori e gli scienziati messi tutti assieme, hanno cambiato la vita dell’uomo sulla terra quanto quest’unica vita solitaria.

Al tempo della propaganda antireligiosa, in Russia, un commissario del popolo aveva presentato brillantemente le ragioni del successo definitivo della scienza. Si celebrava il primo viaggio spaziale. Era il momento di gloria del primo cosmonauta, Gagarin. Ritornato sulla terra, aveva affermato che aveva avuto un bel cercare in cielo: Dio proprio non l’aveva visto. Il commissario tirò la conclusione proclamando la sconfitta definitiva della religione. Il salone era gremito di gente. La riunione era ormai alla fine.      “Ci sono delle domande?”.
Dal fondo della sala un vecchietto che aveva seguito il discorso con molta attenzione disse sommessamente: “Christòs ànesti”, “Cristo è risorto”. Il suo vicino ripeté, un po’ più forte: “Christòs ànesti”. Un altro si alzò e lo gridò; poi un altro e un altro ancora. Infine tutti si alzarono gridando: “Christòs ànesti”, “Cristo è risorto”.

Il commissario si ritirò confuso e sconfitto.

Al di là di tutte le dottrine e di tutte le discussioni, c’è un fatto. Per la sua descrizione basterà sempre un francobollo: Christòs ànesti. Tutto il cristianesimo vi è condensato. Un fatto: non si può niente contro di esso.

I filosofi possono disinteressarsi del fatto. Ma non esistono altre parole capaci di dar slancio all’umanità: Gesù è risorto.

La Pietra Azzurra

Il gioielliere era seduto alla scrivania e guardava distrattamente la strada attraverso la vetrina del suo elegante negozio.  Una bambina si avvicinò al negozio e schiacciò il naso contro la vetrina. I suoi occhi color del cielo si illuminarono quando videro degli oggetti esposti. Entrò decisa e puntò il dito verso uno splendido collier di turchesi azzurri.
“E’ per mia sorella. Può farmi un bel pacchetto regalo?”.
Il padrone del negozio fissò incredulo la piccola cliente e le chiese: “Quanti soldi hai?”.   Senza esitare, la bambina, alzatasi in punta di piedi, mise sul banco una scatola di latta, la aprì e la svuotò. Ne vennero fuori qualche biglietto di piccolo taglio, una manciata di monete, alcune conchiglie, qualche figurina.
“Bastano?” disse con orgoglio. “Voglio fare un regalo a mia sorella più grande. Da quando non c’è più la nostra mamma, è lei che ci fa da mamma e non ha mai un secondo di tempo per se stessa. Oggi è il suo compleanno e sono certa che con questo regalo la farò molto felice. Questa pietra ha lo stesso colore dei suoi occhi”.
L’uomo entra nel retro e ne riemerge con una stupenda carta regalo rossa e oro con cui avvolge con cura l’astuccio.
“Prendilo” disse alla bambina. “Portalo con attenzione”.   La bambina partì orgogliosa tenendo il pacchetto in mano come un trofeo.
Un’ora dopo entrò nella gioielleria una bella ragazza con la chioma color miele e due meravigliosi occhi azzurri. Posò con decisione sul banco il pacchetto che con tanta cura il gioielliere aveva confezionato e dichiarò:  “Questa collana è stata comprata qui?”.
“Sì, signorina”. “E quanto è costata?”.
“I prezzi praticati nel mio negozio sono confidenziali: riguardano solo il mio cliente e me”.
“Ma mia sorella aveva solo pochi spiccioli. Non avrebbe mai potuto pagare un collier come questo!”.
Il gioielliere prese l’astuccio, lo chiuse con il suo prezioso contenuto, rifece con cura il pacchetto regalo e lo consegnò alla ragazza.
“Sua sorella ha pagato. Ha pagato il prezzo più alto che chiunque possa pagare: ha dato tutto quello che aveva”.

“Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo unico Figlio perché chi crede in lui non muoia ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).

I due asinelli

Alla grotta di Betlemme arrivarono anche due asinelli. Erano stanchi e macilenti. Le loro groppe erano spelacchiate e piagate dai pesanti sacchi che il mugnaio loro padrone caricava quotidianamente e dai colpi di bastone che non risparmiava. Avevano sentito i pastori parlare del Re dei Re, venuto dal cielo, ed erano così accorsi anche loro. Rimasero un attimo a contemplare il Bambino. Lo adorarono e pregarono come tutti. All’uscita li attendeva lo spietato mugnaio. I due asinelli ripartirono a testa bassa, con il pesante basto sulla groppa.
“Non serve a niente” disse uno. “Ho pregato il Messia che mi togliesse il peso e non l’ha fatto”.
“Io invece”, ribatté l’altro, che trotterellava con un certo vigore “gli ho chiesto di darmi la forza di portarlo”.

Se qualcuno ti dice: “La vita è dura”, chiedigli: “In confronto a che cosa?

Nel Bosco

“Perché ti ritiri ogni giorno nel bosco?”.
“Per pregare”.
“Ma Dio è dappertutto, no?”.
“Certo, Dio è dappertutto!”.
“E Dio è lo stesso in qualunque posto?”.
“Sì, Dio è lo stesso ovunque”.
“E allora perché vai a pregare nel bosco?”.
“Perché nel bosco io non sono lo stesso”.

Giovanna d’Arco sentiva delle voci provenienti dal Signore.
Il Delfino ne era infastidito.
“Oh, le tue voci, le tue voci”, si lamentava. “Perché le voci non giungono a me? Sono io il re, non tu”.
“Le voci arrivano anche a te, Delfino”, rispondeva Giovanna, “ma tu non le ascolti”.
Tu non ti siedi di sera nel campo per ascoltarle.
Quando suona l’Angelus ti fai il segno della croce e tutto finisce lì per te; ma se tu pregassi dal profondo del cuore e se ascoltassi il tintinnio delle campane nell’aria anche quando hanno smesso di suonare, sentiresti anche tu le voci come le sento io”.

La Memoria di Dio

Una donna riteneva che Dio le apparisse in visione. Andò quindi a consigliarsi dal proprio vescovo. Il buon presule le fece la seguente raccomandazione: “Cara signora, lei forse sta credendo a delle illusioni. Deve capire che in qualità di vescovo della diocesi sono io che posso decidere se le sue visioni sono vere o false”.
“Certo, Eccellenza”. “Questa è una mia responsabilità, un mio dovere”. “Perfetto, Eccellenza”.  Allora, cara signora, faccia quello che le ordino”.   “Lo farò, Eccellenza”. “La prossima volta in cui Dio le apparirà, come lei sostiene, lo sottoponga a una prova per sapere se è realmente Dio”.  “D’accordo, Eccellenza. Ma qual è la prova?”
“Dica a Dio: “Rivelami, per favore, i peccati personali e privati del signor vescovo”. Se è davvero Dio ad apparirle, costui le rivelerà i miei peccati. Poi, torni qui e mi racconti cosa avrà risposto; a me, e a nessun altro. D’accordo?”.   “Farò proprio così, Eccellenza”.

Un mese dopo, la signora chiese di essere ricevuta dal vescovo, che le domandò: “Le è apparso di nuovo Dio?”.
“Credo di sì, Eccellenza. “Gli ha chiesto quello che le ho ordinato?”.

“Certo, Eccellenza!”.      “E che cosa ha risposto Dio?”.
“Mi ha detto: “Dì al vescovo che i suoi peccati li ho dimenticati”.”.

Era un pomeriggio piovoso e una signora stava percorrendo in auto una delle strade principali della città, facendo particolare attenzione poiché la strada era bagnata e scivolosa.
All’improvviso il figlio, seduto sul sedile accanto, disse: “Sai, mam-ma, sto pensando a una cosa”.
La donna era curiosa di  sapere quello che aveva scoperto con la sua testolina il bambino di sette anni.  “Che cosa hai pensato?”.
“La pioggia”, iniziò a spiegare, “è come il peccato e i tergicristalli sono come Dio, che spazza via i nostri peccati”.
S
uperato lo stupore, la mamma chiese: “Hai notato che la pioggia continua a cadere? Cosa significa, secondo te?”.
Il bambino non esitò un attimo a rispondere: “Noi continuiamo a peccare e Dio continua a perdonarci”.

Non esiste nessun libro dove vengono annotati i peccati.

Dio non conserva nessun registro, nessun catalogo. Egli ci vede nel momento presente e ci avvolge con un amore incondizionato.

L’Anfora Imperfetta

Ogni giorno un contadino portava l’acqua dalla sorgente al villaggio in due grosse anfore che legava sulla groppa dell’asino, che gli trotterellava accanto.  Una delle anfore, vecchia e piena di fessure, durante il viaggio, perdeva acqua.   L’altra, nuova e perfetta, conservava tutto il contenuto senza perderne neppure una goccia.
L’Anfora vecchia e screpolata si sentiva umiliata e inutile, tanto più che l’anfora nuova non perdeva l’occasione di far notare la sua perfezione: “Non perdo neanche una stilla d’acqua io!”.
Un mattino, la vecchia anfora si confidò con il padrone: “Lo sai, sono cosciente dei miei limiti. Sprechi tempo, fatica e soldi per colpa mia. Quando arriviamo al villaggio io sono mezza vuota. Perdona la mia debolezza e le mie ferite”.
Il giorno dopo, durante il viaggio, il padrone si rivolse all’anfora screpolata e le disse: “Guarda il bordo della strada”.
“E’ bellissimo, pieno di fiori”.      “Solo grazie a te”, disse il padrone. “Sei tu che ogni giorno innaffi il bordo della strada. Io ho comprato un pacchetto di semi di fiori e li ho seminati lungo la strada, e senza saperlo e senza volerlo, tu li innaffi ogni giorno”.

Siamo tutti pieni di ferite  e screpolature, ma se lo vogliamo, Dio sa fare meraviglie con le nostre imperfezioni.
Ho fatto tanti sogni che non si sono mai avverati.
Li ho  visti svanire all’alba.
Ma quel poco che grazie a Dio si è attuato, mi fa venire voglia di sognare ancora.
Ho formulato tante preghiere senza ricevere risposta, ma quelle poche che sono state esaudite mi fanno venire voglia di pregare ancora.
Mi sono fidato di tanti amici che mi hanno abbandonato e mi hanno lasciato a piangere da solo, ma quei pochi che mi sono stati fedeli mi fanno venire voglia di avere ancora fiducia.
Ho sparso tanti semi che sono caduti per strada e sono stati mangiati dagli uccelli, ma i pochi covoni dorati che ho portato fra le braccia, mi fanno venire voglia di seminare ancora.

La Cosa più difficile.

Enzo Bianchi, monaco da circa 30 anni racconta:

Nel mio quotidiano tentativo di vita monastica, ho sempre presente quello che diceva uno dei miei antenati, un padre del deserto. Un giorno un giovane monaco gli disse: “Abba, dimmi, qual è l’opera più difficile di un monaco?”. E l’altro le rispose: “Dimmi tu quale pensi che sia”.
Il giovane monaco disse: Forse è la vita comune”, ma l’abba rispose: “No, no, figliolo, prima o poi gli uomini, per cattivi che siano, a forza di stare insieme, si vogliono bene”.
L’altro riprese: “ Ma allora qual è la castità?”. “No, figliolo, tu senti la castità come un problema grosso perché hai vent’anni, ma aspetta ancora  qualche anno , e tutto si acquieterà”.
Ma allora cos’è, Padre, l’opera più difficile del monaco? Forse la teologia, studiare Dio, parlare di Dio?”. L’abba gli disse: “No, figliolo, guardati intorno, quanti ecclesiastici parlano di Dio dalla mattina alla sera! Sei mai stato nelle chiese? tutti discutono di Dio!… No, no – continuò l’anziano-  è tanto facile parlare su Dio, molta gente di Chiesa se non avesse quello da fare non saprebbe come passare la giornata”.
“A questo punto, dimmelo tu, abba, qual è l’opera più difficile del monaco”.  “E’ pregare, pregare dando del tu a Dio!”.

E aggiunse: “Ricordati che un uomo, tre giorni dopo morto, di fronte alla presenza di Dio, prova ancora difficoltà a guardarlo in faccia, a dirgli ‘Padre, a dargli de tu! E’ questa l’opera più difficile”.

Il Consiglio

Una donna si presentò da un esperto e gli chiese: “Mi può aiutare perché ho un grosso problema. Ho difficoltà con mio marito. tutte le sere, quando lui torna a casa scoppiano litigi furibondi”.
L’uomo rispose: “E’ facile”. “Bene. Allora che cosa devo fare?”.
“Ogni sera, quando sente che suo marito sta arrivando, si metta in bocca queste quattro pillole rosa, una dopo l’altra, non tutte insieme, e poi si ricordi di succhiarle lentamente. molto, molto lentamente”
Una settimana dopo, la donna tornò dall’esperto, sorridente e distesa.

“Quelle pillole sono miracolose! Ne vorrei un’altra scatola. Da quando le prendo non ho più avuto una discussione, all’arrivo di mio marito, la sera!”.

Il ministro degli esteri francese, Robert Schuman, raccontò un giorno perché non si era mai sposato.

“Molto tempo fa, mentre viaggiavo in metropolitana, pestai accidentalmente un piede a una signora. Prima che potessi scusarmi, quella mi investì gridando: “Sei il solito stupido imbecille! Guarda dove metti i piedi!”. Poi alzò gli occhi e arrossendo esclamò: “Oh, mi scusi tanto, signore! Credevo fosse mio marito…”.

La lingua  è una piccola parte del nostro corpo, ma può vantarsi di grosse imprese.
Un focherello può incendiare tutta una grande foresta.
L’uomo è capace di domare gli animali di ogni specie.

La lingua, invece, nessuno è capace di domarla (Lett. di Giacomo 3,6-8).

Il Capitale

Il papà aveva passato la cera sulla carrozzeria dell’auto e ora la strofinava accuratamente per renderla splendente. Il figlio undicenne lo aiutava passando lo straccio sui paraurti. “Vedi, ragazzo mio, l’auto è un capitale della famiglia: dobbiamo dedicargli cure, attenzioni e tempo”, diceva il padre. “Certo papà”. “Ecco, bravo!”. Un momento di silenzio. “Allora, io non sono un capitale della famiglia”, mormorò il figlio. “Perchè?”, disse il padre. “Tu non hai mai tempo per me!”

Qual è il tuo capitale famigliare?

Il Segnale

Un povero naufrago arrivò sulla spaiggia di un’isoletta deserta aggrappato ad un piccolo relitto della barca su cui stava viaggiando dopo una terribile tempesta. L’isola era poco più di uno scoglio, aspra e inospitale. Il pover’uomo incomincio a pregare. Chiese a Dio, con tutte le sue forze, di salvarlo e ogni giorno scrutava l’orizzonte in attesa di veder sopraggiungere un aiuto, ma non arrivava mai nessuno. Dopo qualche giorno si organizzò. Sgobbando e tribolando fabbricò qualche strumento per cacciare e coltivare, sudando sangue riuscì ad accendere il fuoco, si costruì una capanna e un riparo contro le violente bufere. Passò qualche mese. Il pover’uomo continuava a pregare, ma nessuna nave appariva all’orizzonte. Un giorno, un colpo di brezza sul fuoco spinse le fiamme a lambire la stuoia del naufrago. In un attimo tutto s’incendiò. Dense volute di fumo si alzarono verso il cielo. Gli sforzi di mesi, in pochi istanti, si ridussero a un mucchietto di cenere. Il naufrago, che invano aveva tentato di salvare qualcosa, si buttò piangendo sulla sabbia. “Perchè Signore? Perchè anche questo?”. Qualche ora dopo una grossa nave attraccò vicino all’isola. Vennero a prenderlo con una scialuppa. “Ma come avete fatto a sapere che ero qui?”, chiese il naufrago quasi incredulo. “Abbiamo visto il segnale di fumo”, gli risposero.

Le tue difficoltà di oggi sono segnali di fumo per la grazia futura. Dio verrà a salvarti.
“Qual è la via più breve per incontrare Dio?”, “Vivere su una sedia a rotelle”, rispose un uomo senza gambe.

L’imitazione

In un centro di raccolta di barboni, un alcolizzato di nome Giovanni, considerato un ubriacone irrecuperabile, fu colpito dalla generosità dei volontari del centro e cambiò completamente. Divenne la persona più serviziovole che i collaboratori e i frequentatori del centro avessero mai visto. Giorno e notte, Giovanni si dava da fare, instancabile. Nessun lavoro era troppo umile per lui. Sia che si trattasse di ripulire una stanza in cui un alcolizzato si era sentito male, o di strofinare i gabinetti insudiciati, Giovanni faceva quanto gli veniva chiesto col sorriso sulle labbra e con apparente gratitudine, perchè aveva la possibilità di essere d’aiuto. Si poteva contare su di lui quando c’era da dare da mangiare a uomini sfiniti dalla debolezza, o quando bisognava spogliare e mettere a letto persone incapaci di farcela da sole. Una sera, il cappellano del centro parlava alla solita folla seduta in silenzio nella sala e sottolineava la necessità di chiedere a Dio di cambiare. Improvvisamente un uomo si alzò, percorse il corridoio fino all’altare, sibuttò in ginocchio e cominciò a gridare: “Oh Dio! Fammi diventare come Giovanni! Fammi diventare come Giovanni! Fammi diventare come Giovanni!”. Il cappellano si chinò verso di lui e gli disse: “Figliolo, credo che sarebbe meglio chiedere: fammi diventare come Gesù!”. L’uomo guardò il cappellano con aria interrogativa e gli chiese: “Perchè Gesù è come Giovanni?”.

Se qualcuno ti chiede: “Com’è un cristiano?”
“Guardami”, è l’unica risposta accettabile.

La Tentazione

In una giornata estiva molto calda, un bracciante agricolo ricevette l’ordine di vangare il giardino del suo padrone. Si mise al lavoro di malavoglia, e incominciò a inverire contro Adamo, che a suo parere, era l’unico responsabile di ogni sfruttamento. Le sue bestemmie e imprecazioni giunsero all’orecchio del padrone il quale si avvicinò e gli disse: “Ma perchè inveisci contro Adamo? Scommetto che al suo posto avresti fatto la stessa cosa”. “No di certo”, rispose il bracciante, “io avrei resistito alla tentazione!”. “Vedremo!”, disse il padrone e lo invitò a pranzo. All’ora stabilita, il badilante si presentò in casa del padrone e questi lo introdusse in una saletta dove c’era una tavola imbandita con ogni ben di Dio. “Puoi mangiare tutto quanto vuoi”, disse l’uomo al dipendente. “Soltanto la zuppiera coperta al centro della tavola non la devi toccare finchè non torno”.
Il badilante non aspettò neppure un minuto: si sedette al tavolo e con il suo formidabile appetito cominciò ad assaggiare una dopo l’altra le leccornie che gli venivano servite. Alla fine il suo sguardo fu magnetizzato dalla zuppiera. La curiosità lo fece quasi ammattire, tanto che alla fine non resistette più e, con massima circospezione, sollevò appena appena il coperchio che copriva la zuppiera. Saltò fuori un sorcio. Il badilante fece l’atto di acciuffarlo, ma il topo gli sgusciò di mano. Iniziò la caccia, mentre il giovane rovesciava tavoli e sedie. Il gran baccano richiamò il padrone. “Hai visto?” chiese e ridendo lo minacciò: “Al tuo posto, in futuro, non imprecherei più a voce alta contro Adamo e il suo errore!”.

La Lezione

Il bambino era appena stato scoperto a dire una bugia. Il padre comprensivo e moderno sapeva che quella bugia in particolare non era importante, ma lo era il concetto morale di mentire.
Così interruppe quello che stava facendo e si sedette insieme al figlio per spegargli, con un linguaggio semplice, perchè doveva dire sempre la verità qualunque cosa accadesse, cascasse il mondo ….
Squillò il telefono.
Il figlio, che stava cercando di ingraziarsi il padre, disse: “Vado io!” E corse a rispondere al telefono. Ritornò poco dopo: “E’ l’assicuratore papà”.
“Uffa proprio adesso? Digli che non ci sono”.

E’ così facile dare falsa testimonianza!

Chiodi

C’era una volta un ragazzo dal carattere molto difficile. Si accendeva facilmente, era rissoso e attaccabrighe. Un giorno suo padre gli consegnò un sacchetto di chiodi invitandolo a pintare un chiodo nella palizzata che recintava il loro cortile tutte le volte  che si arrabbiava con qualcuno.
Il primo giorno il ragazzo impiantò trentotto chiodi. Col passare del tempo, comprese che era più facile controllare la sua ira che piantare chiodi e parecchie settimane dopo, una sera, disse a suo padre che quel giorno non si era arrabbiato con nessuno. Il padre gli rispose: “E’ molto bello. Adesso togli dalla palizzata un chiodo per ogni giorno in cui non ti arrabbi con nessuno”.
Dopo un po’ di tempo, il ragazzo potè dire a suo padre che aveva tolto tutti i chiodi. Allora il padre lo prese per mano, lo condusse alla palizzata e gli disse: “Figlio mio, questo è molto bello, però guarda: la palizzata è piena di buchi. Il legno non sarà mai più come prima. Quando dici qualcosa mentre sei in preda all’ira, provochi nelle persone a cui vuoi bene ferite simili a questi buchi e per quante volte tu chieda scusa, purtroppo, le ferite rimangono”.

La cosa più bella del Papà

Il papà chiesa ad Alessio, 5 anni: “Che cosa ti piace più del papà?”
E Alessio dopo aver riflettuto un po’: “La mamma”.

“Quand’è che ti accorgi che la tua famiglia va bene?”, chiesero a una bambina.
“Quando vedo papà e la mamma che si danno i bacetti”, rispose.

I genitori non devono nascondersi nell’armadio per darsi i bacetti. Ogni volta che manifestano l’amore che li unisce, i bambini si sentono inondati di calda e gioiosa fiducia. Sanno bene che l’amore reciproco dei genitori è l’unica roccia solida su cui possono costruire la loro vita.

La predica di San Francesco

Un giorno, uscendo dal convento, san Francesco incontrò frate Ginepro. Era un frate semplice e buono e san Francesco gli voleva molto bene. Incontrandolo gli disse: “Frate Ginepro, vieni andiamo a predicare”.
“Padre mio”, rispose, “sai che ho poca istruzione. Come potreiparlare alla gente?”. Ma piochè san Francesco insisteva, frate Ginipreo acconsentì. Girando per tutta la città, pregando in silenzio per tutti coloro che lavoravano nelle botteghe e negli orti. Sorrisero ai bambini, specialmente a quelli più poveri. Scambiarono qualche parola coi più anziani. Accarezzarono i malati, aiutarono una donna a portare un pesante recipiente pieno d’acqua. Dopo aver attraversato più volte la città san Francesco disse: “Frate Ginipro, è ora di tornare al convento”.
“E la predica?”
“L’abbiamo fatta … l’abbiamo fatta” rispose sorridendo il santo.

Se hai in tasca il profumo del muschio non hai bisogno di raccontarlo a tutti. Il profumo parlerà per te: la predica migliore sei tu.

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