II domenica di Pasqua

Il suo amore è per sempre. Eterna è la sua misericordia. In questa Domenica della Divina Misericordia ci lasciamo prima di tutto toccare da questa certezza: Dio mi ama, il nome di Dio è Misericordia. Lui conosce la mia vita, le mie fragilità, il mio peccato. E mi dona il suo infinito amore, mi fa rinascere con il perdono.

Il Vangelo di Giovanni ci presenta oggi due momenti diversi a distanza di una settimana l’uno dall’altro. Il primo momento è la sera del giorno della resurrezione. Immaginiamo i discepoli già “travolti” da una gioia incredibile: la Maddalena e le donne hanno detto di aver visto il Signore, anche Pietro ha avuto – anche se i vangeli non la raccontano – un’apparizione del Risorto, i due discepoli di Emmaus sono appena rientrati raccontando tutto ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto Gesù nello spezzare il pane. In questo trambusto di parole, sguardi, emozioni, attese… il Signore entra, a porte chiuse, facendosi vedere da tutti. Oggi, in questa nostra celebrazione domenicale, qui, Gesù arriva e ripete due volte: «Pace a voi!». Non porta una pace che toglie i problemi di fuori, ma una pace che infonde fiducia dentro. Non una pace esteriore, ma la pace del cuore. Shalom. In questo momento così triste per la guerra in Ucraina e per tante guerre nel mondo, il Signore ci invita alla Pace che viene da Lui e che ci spinge alla missione. Mostrandoci i segni delle ferite, ci mostra un amore più forte dell’odio e della morte. La sua presenza dà Pace e Gioia, perché è Amore.

Poi, fa un gesto particolare. Soffia. Un soffio leggero e forte allo stesso tempo, richiamo del soffio originale del Creatore che alita la vita nelle narici dell’uomo plasmato con la polvere del suolo, rendendolo un essere vivente.

Siamo stati creati per un soffio… Ora siamo ricreati per un soffio… Eravamo sull’orlo del precipizio della morte e, per un soffio, Cristo ci ridà vita.

Non so quanti sanno che c’è un giorno l’anno in cui il vescovo titolare di una Diocesi soffia. Si tratta del momento liturgico in cui, durante la messa crismale in cattedrale il giovedì santo mattina, dopo aver benedetto l’olio dei catecumeni e l’olio degli infermi, consacra il crisma, l’olio misto a profumo che serve per consacrare i battezzati, per ungere le mani dei sacerdoti o la testa dei vescovi nel giorno dell’ordinazione, per ungere l’altare e le pareti della chiesa nel giorno della dedicazione della chiesa stessa. Il vescovo soffia sull’ampolla, dopo di che pronuncia una bellissima e lunga preghiera in cui tra le altre cose dice: Questa unzione li penetri e li santifichi (i battezzati), perché liberi dalla nativa corruzione, e consacrati tempio della tua gloria, spandano il profumo di una vita santa.

Quale grande amore ci ha riservati Dio, per essere anche noi cristiani, che significa “unti”, come Lui! Quale grazia quella di poter manifestare, come ci ha mostrato la lettura degli Atti, una comunità che sia un cuor solo e un’anima sola, unita nella preghiera e nel servizio!

Ma, a questo punto, ci chiediamo perché, in quel clima di gioia e di pace che è stato il cenacolo, quella sera ne mancasse uno. Perché Tommaso è stato privato di questa grazia? Proviamo a metterci nei suoi panni… Gli altri, appena rientrato, lo avranno travolto con le loro parole: “Abbiamo visto Gesù!” e continuamente, per un’intera settimana, avranno cercato di convincerlo di quella visione collettiva. E lui rimane incredulo… ma il suo dramma non è tanto non credere alla testimonianza di altri dieci, ma il crogiolarsi nel chiedersi perché, “se veramente Gesù è apparso, non mi ha aspettato, non ha voluto che ci fossi anch’io…” La risposta è chiara… “Perché sono più peccatore, perché non sono degno, perché non mi ama”.

Non è stato forse anche il pensiero di molti di noi, in momenti della vita in cui è sembrato che a tutti gli altri andasse bene, mentre noi ci sentivamo esclusi dall’amore, dalla pace, dalla gioia, da quel “soffio”? A volte quell’attesa di Dio, che si è fatta pianto, scoraggiamento, incredulità, desiderio, ci ha consumato, come è successo a Tommaso. Non è un caso che sia chiamato “Didimo” che significa gemello, perché è così simile a ciascuno di noi…

Se siamo così, se forse anche noi abbiamo passato periodi più o meno lunghi di questa lontananza di Dio e da Dio, oggi, in questa celebrazione domenicale, c’è posto per tutti. La non fede di Tommaso è servita per accrescere la nostra fede, il nostro desiderio, la nostra attesa. Gesù non ha fatto uno scherzo a Tommaso, non voleva infierire su di lui. Lo ha fatto attendere non perché non lo amasse o lo amasse meno di altri, ma per renderlo strumento per noi, che non vediamo il Signore con gli occhi, ma possiamo ugualmente credergli.

Il “se non vedo, non credo” di Tommaso (e nostro), da oggi in poi si trasforma in “se non credo, non vedo”. La fede, per il cristiano, non è cieca. La fede ci fa realmente vedere al di là dei sensi stessi, perché ci fidiamo di tanti che ci hanno trasmesso la presenza del Risorto e perché ci affidiamo a Dio. Gesù mostra le ferite della nostra umanità, che diventano feritoie attraverso le quali passa la sua Luce.

Siamo chiamati a testimoniare ancor più, d’ora in poi, ciò che non abbiamo visto; paradosso cristiano, che porta avanti la chiesa da duemila anni, vittoria che – come dice Giovanni – vince il mondo: la nostra fede.

Infatti non servirà più toccare il costato di Cristo – con quello sguardo stupito e curioso di Tommaso, rappresentato nella famosa tela del Caravaggio -. Sarà dal costato di Cristo che saremo toccati noi dall’acqua e dal sangue, segno della Grazia sacramentale che ci fa partecipi, noi che siamo uomini, delle cose che appartengono a Dio. Pensiamo all’immagine di Gesù misericordioso secondo la descrizione di Santa Faustina. È un Signore che ci accoglie con uno sguardo d’amore e che apre il costato, perché quei raggi, segni dell’acqua e del sangue possano raggiungere noi. Sì, Dio mi raggiunge, mi tocca, mi ama. Se anche io non credessi in Lui, è Lui a credere in me.

Lasciamoci toccare, in questa Domenica, Festa della Divina Misericordia, anche per un soffio. Ricordiamoci che, se apriamo la porta a Cristo risorto, la nostra vita cambia, la vita di ogni giorno, dalla sveglia del mattino, agli incontri, le relazioni, il lavoro, la famiglia, gli imprevisti, tutto. Tutto può essere toccato dalla Grazia, se ci lasciamo guidare dallo Spirito. È un soffio leggero, che però può sospingere d’ora in poi tutta la vostra vita.

Rendete grazie al Signore perché è buono: il suo amore è per sempre.

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