Domenica di Pentecoste
Con la solennità di Pentecoste giungiamo al compimento del Mistero pasquale nel dono dello Spirito Santo. La liturgia di quest’anno ci offre il racconto della discesa dello Spirito nel Cenacolo dagli Atti degli Apostoli e poi quello dell’effusione dello Spirito nel primo incontro del Risorto con i suoi dal Vangelo secondo Giovanni. L’accostamento di questi due testi è interessante perché vediamo il dono dello Spirito presentato in contesti diversi e nelle diverse prospettive teologiche dei due evangelisti, cosa che arricchisce e approfondisce la nostra comprensione.
Cominciamo con la narrazione più conosciuta della discesa dello Spirito Santo, quella degli Atti degli Apostoli. L’evangelista Luca la ambienta nel giorno della Pentecoste giudaica, che veniva celebrata sette settimane dopo la Pasqua. Una festa inizialmente agricola poi diventata memoria degli eventi del Sinai e in particolare del dono della Torah, ricevuto come il bene prezioso che unisce e consolida il popolo proprio in quanto popolo dell’alleanza.
I discepoli sono riunti insieme in preghiera in un luogo che identifichiamo nel Cenacolo mentre il giorno della festa di Pentecoste si sta compiendo (non finendo) cioè sta giungendo alla sua pienezza. Dal capitolo primo degli Atti sappiamo che c’era una comunità di circa 120 persone, che comprendeva gli apostoli indicati con il loro nome, alcune donne, Maria la madre di Gesù e la parentela di Lui. Il Signore risorto, al momento dell’Ascensione, aveva dato l’indicazione di attendere a Gerusalemme il battesimo nello Spirito Santo che avrebbe dato la forza necessaria per la testimonianza. Mentre tutti sono in preghiera, accade qualcosa di straordinario e inesprimibile che viene descritto come una improvvisa tempesta, con le immagini proprie delle teofanie: il fragore/tuono, il vento impetuoso, il fuoco. C’è un chiaro riferimento alla scena del Sinai.
Luca parla di lingue come di fuoco che si posano sui presenti. L’immagine delle lingue che si dividono rimanda al midrash secondo il quale sul Sinai la voce di Dio si divise in settanta lingue per farsi udire da tutti i popoli allora conosciuti. Lo Spirito Santo riempie di sé tutti i presenti e suscita una capacità proprio riguardo alla parola, abilita ad esprimersi in un linguaggio che può essere recepito in modo universale. All’udire il rumore delle voci nel Cenacolo, i pellegrini che sono a Gerusalemme per la festa si radunano e si stupiscono di poter capire – ciascuno nella propria lingua – ciò che quei Galilei dicono: li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio. A Babele le lingue furono confuse e i popoli dispersi a causa dell’arroganza umana, al Cenacolo lo Spirito rende possibile la comunicazione per costruire una nuova unità che comprenda il linguaggio del Vangelo.
I popoli citati nel racconto lucano appartengono a tutte le regioni intorno ad Israele, vengono dai quattro angoli della terra. Alle falde del Sinai c’era solo il popolo di Israele, vicino al Cenacolo ci sono tutti i popoli, la totalità delle genti chiamate alla nuova l’alleanza con Dio. In questo senso, con la discesa dello Spirito Santo la Chiesa nasce e inizia la sua missione.
Veniamo ora al Vangelo secondo Giovanni. I discepoli sono chiusi in casa per timore dei giudei. Il sentimento dominante è la paura insieme alla confusione, alla tristezza, al dolore per tutto quello che è accaduto.
Venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!»: Gesù viene e si mette al centro, scalzando quel groviglio di sentimenti negativi che occupava la mente e il cuore dei discepoli. Nessun rimprovero, nessun biasimo, nessuna condanna verso quel piccolo gruppo dei suoi che lo hanno abbandonato e lasciato solo, pensando ciascuno a salvare se stesso. Nessun rimprovero ma, invece, un saluto di pace che è “dono della pace”, è perdono. È quella pace che Gesù aveva lasciato come promessa nei discorsi dell’ultima cena e che sarebbe stata frutto della sua pasqua. L’atmosfera è sospesa, non è riportata una immediata reazione dei discepoli. Gesù mostra le mani e il costato trafitti e allora i discepoli gioirono al vedere il Signore. Anche questo aveva promesso, l’avrebbero rivisto e la loro tristezza sarebbe cambiata in una gioia che nessuno avrebbe potuto togliere. Quanto è importante il fatto che il Signore mostri il suo corpo ferito! Non è solo conferma della sua identità, del suo essere vivo con i segni della passione ma ancor più ricordo del suo amore totale, fedele, fino alla fine. È Gesù condannato/offeso/ferito a morte che dona la pace, la sua sofferenza è diventata la fonte del perdono. È Lui l’Agnello – mansueto e mite – che toglie il peccato del mondo.
Gesù ripete una seconda volta il saluto di pace e lo lega ad un mandato: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Secondo il IV Vangelo, il Signore non ha inviato i suoi a predicare durante il ministero pubblico, a differenza degli altri Vangeli. È questo il momento del mandato missionario, dato dentro l’esperienza della presenza del Signore risorto, del suo perdono e della gioia.
Ma da soli non potrebbero – e non potremmo – fare nulla, ci vuole lo Spirito Santo. Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati»: mandati a trasmettere il perdono di Dio. Il soffio del Risorto ricorda quello del Creatore in Genesi: lo Spirito ri-crea l’uomo, gli dà un cuore nuovo e uno spirito nuovo, come avevano annunciato i profeti.
L’evangelista Giovanni, dunque, vede il dono dello Spirito particolarmente come dono del perdono, della riconciliazione e della pace acquistati per noi dal Signore con la sua pasqua. Ecco la “Pentecoste” nel IV Vangelo, nel quale tutto il mistero pasquale viene condensato nell’unico giorno della risurrezione quando la tomba è vuota, il mistero dell’Ascensione è accennato a Maria di Magdala e lo Spirito è effuso sulla comunità dei discepoli, mandati in missione.
Negli Atti degli Apostoli sono narrate altre “Pentecosti”. Il dono dello Spirito nel Cenacolo è stato un evento speciale ma non unico; si è ripetuto e si ripete nel tempo della Chiesa perché Il Signore Gesù continua a inviare il suo Spirito, che insegna, ricorda, guida l’annuncio del Vangelo; che è Spirito Creatore e Paraclito, Spirito d’Amore artefice di perdono e di riconciliazione.
La pace è dono dello Spirito. Chiediamolo in questa Pentecoste.
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