Domenica delle Palme

Oggi celebriamo l’ingresso trionfale di Gesù a Gerusalemme (Mt 21,7) e il penoso “Crocifiggilo” (27,22) della folla riunita per condannare Cristo.

La liturgia della Domenica delle Palme propone due letture del vangelo, entrambe di san Matteo. La prima, proclamata all’inizio della processione delle palme, narra l’accoglienza trionfale che il popolo d’Israele ha concesso al “profeta” (21,10). Gesù, mite ed umile (v. 5), vuole essere acclamato da noi non solo come un profeta, ma anche riconosciuto come il vero Re e il Signore dell’universo, Colui che è stato inviato dal Padre per condurre l’umanità verso la libertà e la verità. È necessario, quindi, seguire la processione del Salvatore con attenzione, senza perdere alcun segno o parola, fino al giovedì santo, fino in fondo, persino dinanzi all’amore estremo della croce, di un Dio che muore per noi: ai Suoi piedi, se avremo l’umiltà di chiedere la forza di non cedere alla tentazione di tornare indietro, sta o cade la nostra fede.

La lunga lettura del Passio introduce il discepolo verso la comprensione del mistero Pasquale. San Matteo, infatti, ci permette di cogliere il dramma delle ultime ore di Gesù: dalla cena con gli Apostoli, all’arresto del Figlio di Dio; dal processo dinnanzi al Sinedrio e a Pilato, alla via crucis fino e alla morte del Nazareno.

Le due letture del Vangelo sono in forte contrasto fra di loro. Gli “Osanna” che accolsero Gesù, si tramutano, adesso, in grida di odio verso di Lui: “Crocifiggilo”. Dov’è la gloria che spetta al Re? Il Maestro, parlando dal trono della croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi ha abbandonato» (27,46), insegna al mondo che la vera gloria bisogna nasconderla in Dio. Offrendo se stesso al Padre, mostra che la sua gloria è crocifissa, pienamente realizzata secondo il disegno divino: Egli ha fatto la volontà di Dio. Abbandonandosi a Lui, Egli attua, con il sacrificio della sua vita, la salvezza per tutti gli uomini. E noi, sotto la croce, lo riconosciamo vero Re, Colui che immola la sua esistenza per rendere partecipi ciascuno della vita divina.

Prima si è detto che sotto la croce inizia, si fortifica o cade la nostra fede. In effetti tutto comincia dal Calvario: Egli raduna l’umanità per insegnare che il destino dell’uomo è l’amore, da donare agli altri gratuitamente e con sincerità, senza volere nulla in cambio. Forse, se non capiamo questo è inutile andare a messa, si rischia solo di essere ipocriti, perché non si punta all’essenziale, alla croce.

Noi, comunità ecclesiale, riflettiamo sulla regalità del Messia. L’unico Re, innocente, andato incontro al giudizio e alla morte senza fare resistenza, è la fonte della nostra speranza. Lui che raccoglie tutte le croci sparse per il mondo, tutte i patimenti che affliggono la nostra quotidianità, trasforma la tristezza in gioia, lo sconforto in consolazione, la malattia in dono da presentare all’Onnipotente. Accostiamoci al nostro Re, glorioso e crocifisso. Meditiamo e facciamo memoria della bellezza di un Dio che ci invita a seguirlo fra le sofferenze del mondo perché possiamo annunciare che la morte e i dolori sono sconfitti dalla risurrezione del Salvatore.
Amen.

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