Domenica 23^ del Tempo Ordinario

Il sospiro della compassione

“Dite agli smarriti di cuore: Coraggio! Non temete; ecco, il vostro Dio: Egli viene a salvarvi.

Chi sono questi smarriti di cuore, se non tutti noi, sempre più smarriti in un mondo che sembra abbia perso la bussola e ci spaventa per la violenza, l’insicurezza, la precarietà che regnano  pressoché in ogni ambiente? Anche le istituzioni più consolidate, come la famiglia e la scuola, sembra siano in fase di dissestamento e non si sa più dove poggiare il capo.

Chi sono coloro che hanno bisogno di sentirsi dire: “Coraggio! Non temete: ecco il vostro Dio, egli viene a salvarvi”? Ma siamo sempre noi, uomini e donne del ventunesimo secolo, apparentemente così sicuri e baldanzosi a cavallo di tecnologie sempre più avanzate e marchingegni sempre più complicati, ma interiormente così pieni di paure, timori, ansie e angosce varie. Paura del futuro: chissà cosa accadrà? Paura del passato: ma guarda cos’ho combinato, Dio mi perdonerà? Paura addirittura delle paure: ora sono tranquillo, ma ho paura che mi tornino le paure! Abbiamo veramente bisogno di sentirci dire ogni momento: “Non temete, ecco il vostro Dio, Egli viene “. Ecco cos’è che ci salva: la certezza che abbiamo un Salvatore che non ci ha salvati una volta per tutte, ma continua a venire ogni momento a salvarci da ogni sbandamento, traviamento e oscuramento. Infatti la prima lettura di oggi dice proprio: “Non temete, Egli viene a salvarvi”. Non lo dice al passato “è venuto” ma al presente “viene”, ed è un presente continuo, che durerà fino alla fine dei secoli, fino a quando non ci saranno più giorni e quindi non ci sarà neanche più il presente. E abbiamo bisogno di poter contare su uno che è fedele per sempre, come dice il Salmo responsoriale.

Nel Vangelo vediamo Gesù sempre itinerante, di ritorno da Tiro e diretto verso il territorio della Decapoli. Da quando è partito di casa per annunciare il Regno, Gesù è instancabile nel proclamare la buona novella, sempre in cammino per la Galilea, Giudea e Samaria, passando notti insonni in preghiera, e giornate di un’attività intensissima tra miracoli, guarigioni e insegnamenti. Sarà perché sapeva che il suo ministero sarebbe stato di brevissima durata? O perché “lo zelo per la casa del Padre lo divorava”?. Oggi lo vediamo di nuovo alle prese con la malattia: “Gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano”. Gli condussero. Questi malati del Vangelo, magari hanno perso tutto, anche la salute, ma non hanno perso la cosa più importante: gli amici. L’abbiamo già visto altre volte: il paralitico aveva come minimo quattro amici fedelissimi che lo calarono addirittura dal tetto per metterlo davanti a Gesù affinché lo guarisse. Anche oggi vediamo il sordomuto che ha amici fedeli che lo conducono davanti a Gesù pregandolo di guarirlo. Si capisce che erano veri amici, perché ci tengono alla sua guarigione e, non solo la chiedono, ma pregano addirittura Gesù di guarirlo.

Ed Egli lo porta in disparte. Chissà perché! Forse per essere più vicino al Padre e poter alzare gli occhi al cielo, come faceva ogni volta prima di operare un miracolo, lontano da sguardi indiscreti? E prima di dire “apriti” emette un sospiro. E’ la prima volta che notiamo questo atteggiamento in Gesù e mi ha colpito tantissimo. Cosa vorrà dire? Sarà stato dettato sicuramente dalla compassione, non solo per il sordomuto, ma per la condizione umana in sé, soggetta a mille sordità e a mille fragilità. Infatti siamo soggetti a fragilità fisiche; quante malattie; fragilità psicologiche: quante depressioni, esaurimenti e disturbi di carattere psicosomatico; fragilità morali: le tendenze al male contro cui dobbiamo lottare per far trionfare il bene e, come se non bastasse, anche le tentazioni che vengono dal nemico delle anime. Il nostro cuore è un vero e proprio campo di battaglia e in questo sospiro di Gesù, possiamo vedervi tutta la sua ansia di Salvatore e il desiderio di vederci tutti salvi e liberati soprattutto dalle innumerevoli sordità ai suoi richiami e inviti di salvezza.

Dobbiamo chiedere di essere guariti dalla sordità ai suoi richiami e acquistare quella docilità allo Spirito Santo che basterebbe a farci santi.

Wilma Chasseur

Migliaia di lebbrosi circolavano sulle strade polverose della Palestina e pochi di essi furono sanati, migliaia di ciechi disperati chiedevano l’elemosina ai bordi delle strade e pochissimi riebbero la vista. Allora? Gesù ha maturato in sé una certezza: non è vero che “basta la salute”.

Gesù è sconcertante: la salute non è il bene principale, pur essendo prezioso. Abbiamo bisogno di salute, certo. Ma, molto di più, necessitiamo di felicità. Di fronte ad un malato Gesù chiede: “Cosa vuoi che ti faccia?”. Assurdo, no? Vuole la guarigione! Ne siamo proprio certi? Gesù sa che solo qualcosa di più grande può rendere felice il cuore dell’uomo. Come i dieci lebbrosi guariti, di cui uno solo, straniero, torna a ringraziare, Gesù dice: “Dieci sono stati sanati, ma uno solo si è salvato”. La malattia è mistero e misura del nostro limite, iattura e croce. Ma più della malattia c’è l’assenza di senso.

Gesù, guarendo, sta dicendo che il Regno ormai è arrivato, che la presenza del Padre sta contagiando il cuore di ogni uomo. Qual è la tua malattia, fratello? Quale sofferenza hai nascosto in questi anni, per non ferire il tuo sposo o il tuo figlio? Quale cruccio dell’infanzia, quale tragedia nella tua famiglia hanno spento il tuo sorriso? Quale paura tieni nascosta nella cantina del tuo castello interiore? Quale debolezza psicologica frena lo slancio del passo? Quale malattia interiore ti consuma? Gesù ti guarisce. Gesù ti salva. Gesù ti ama

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