XXVII domenica del tempo ordinario

Coloni, colonialismo, colonie e termini del genere sono in uso ancora oggi, così come al tempo di Gesù. Egli però utilizza questi termini spostandosi dal puro e semplice livello politico ad un livello squisitamente spirituale, nell’intento di chiarire come stanno le cose riguardanti la causa del Suo Regno.

E li utilizza con tale chiarezza (e come potrebbe non farlo) da lasciare senza fiato e senza scappatoie chi lo ascolta.

Infatti ad ascoltare e capire immediatamente (e magari a farsi un esame di coscienza) sono le folle, è la gente comune.

Lo ascoltano e lo capiscono anche i “capi” del popolo (farisei, sacerdoti, intellettuali dell’epoca) che si guardano bene però dal fare un esame di coscienza e magari convertirsi.

La parabola dei vignaiuoli malvagi (che agiscono il male) è fin troppo chiara: il padrone è Dio, la vigna (Is. 5,1) è il popolo d’Israele, i coloni sono i capi del popolo a diverso titolo, coloro che hanno quel briciolo di potere sufficiente a farli inorgoglire e andare fuori di testa, i servi sono i profeti che si danno da fare per la causa del Regno, il Figlio è Gesù, venuto al mondo per salvarci e ucciso fuori le mura (Gv. 19,20; Eb. 13,12).

E’ la gente comune a rispondere alla domanda di Gesù: “Quando verrà il padrone della vigna cosa farà a quei coloni?”. E la risposta è di una logica popolare genuina: “Farà morire senza pietà quei malvagi…”. I “capi” non rispondono, ma vanno in puzza… risentiti.

Da notare una finezza di Gesù: egli usa il termine di “coloni” (senza quindi dare giudizi sulle persone) mentre le gente li apostrofa come “malvagi”… giustamente (giudicando, quindi, il comportamento di chi “fa del male”, di chi “agisce male” e non la persona in toto).

E già qui si potrebbe ricavare un insegnamento: non si possono giudicare le persone, ma si possono giudicare i comportamenti. Se un albero da dei frutti “marci”, non lo si può giudicare “marcio” in toto, ma si possono giudicare “marci” certi suoi frutti. I frutti sono il comportamento ultimo, visibile dell’albero. Facile ricordare il monito di Gesù: “Non giudicate…”.

Applicare la parabola alla realtà della Chiesa oggi è di una facilità tale non richiedere troppe parole o commenti.

Ognuno si interroghi (meglio se in meditazione davanti al tabernacolo) sulla sua identità di appartenenza o di funzione: sono un colono o sono un servo? Come mi comporto nella Sua Vigna?

O c’è forse qualche virus di colono anche in chi si crede servo? Una buona analisi dell’anima (esame di coscienza) ce lo farebbe scoprire subito.

Tanto più che, anche riconoscendoci servi, dovremmo sentire risuonare nelle orecchie anche l’aggettivo con il quale Gesù qualifica i servi e cioè “inutili”.

Un aggettivo indelicato, se si vuole e che non mi è mai tanto piaciuto (a meno che non si tratti di una traduzione approssimativa dell’epiteto usato da Gesù). Magari sarebbe stata più congrua la traduzione: “Siete dei semplici servi”.

In un modo o nell’altro da Gesù si accetta tutto senza andare in puzza e fare gli offesi come fecero appunto i coloni.

Inutili o semplici servi, quel che conta e da la carica è la consapevolezza di fede di essere al servizio dell’unica causa che vale, quella del Regno di Dio e di sentirsi sanamente orgogliosi per essere stati scelti da Dio (bontà sua) a lavorare a testa bassa per Lui.

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