XV domenica del tempo ordinario

Il Vangelo di questa domenica ci presenta la famosa parabola del buon seminatore. Proprio la prima lettura ci dice che la Parola che Dio manda sulla terra non torna indietro senza aver fecondato la terra, cioè senza effetto. Ma allora come mai il Vangelo dice che ci può essere la possibilità di un’inefficacia? La parabola ci parla della relazione tra Dio e l’uomo. Questa relazione è focalizzata nella figura di questo seminatore che getta il seme in ogni parte con diversi esiti. L’attenzione è posta sull’accoglienza di ciascuno, dunque sapere (e volere) ricevere l’iniziativa di Dio. In ogni rapporto l’amore implica la libertà: dove non c’è possibilità di rifiutare o non c’è amore o c’è dittatura. Dio sparge il seme con abbondanza. Dona a tutti ma rispetta la nostra libertà. Possiamo accogliere o no, e sono i nostri no a rendere vana l’efficacia della Parola! Noi possiamo sprecare la grazia che Dio effonde a piene mani! Il Vangelo di oggi ci mostra alcuni casi.
Nel primo caso questo seme cade sulla strada. Gesù ci dice che ogni volta che uno ascolta la sua Parola e non la comprende, questa viene rubata dal maligno. Ciò non significa che comprendere tutto sia la condizione necessaria per essere salvati ma sottolinea l’importanza di custodire e interiorizzare la parola di Dio, perché sia veramente lampada ai nostri passi e criterio nuovo del nostro agire. L’amore spinge a “portare nel cuore” la persona amata e le sue parole, anche se non se ne coglie fino in fondo la portata. Noi, invece, vorremmo salvarci solo attraverso le cose che capiamo, nel modo che noi intendiamo. Ma se ci dovessimo salvare solo attraverso la nostra ragione saremmo perduti! Dio ci salva in tanti modi e noi dobbiamo accettare che non comprendiamo tutto. La vita ci richiede spesso un atto di fede: fidarci di Dio anche se non vediamo tutto chiaro, continuando a lascarci guidare dalla sua parola, certi di una cosa: del suo amore! L’obbedienza della fede è più del capire.

In secondo luogo questo seme cade sulla terra ma vicino alle pietre. È vero che vede subito i primi germogli, che ha una fecondità immediata perché vi è un pochino più di umidità vicino alla roccia, ma un seme che germoglia senza profondità secca subito. Questo accade quando noi viviamo di facili entusiasmi: ci si accende come un fuoco di paglia e subito dopo ci si spegne. Rischiamo di vivere una fede molto superficiale, estemporanea, senza farla radicare. Non riusciamo a farla radicare a causa della nostra incostanza e inconsistenza perciò, arrivata la prova, veniamo meno. È un rischio serio.

Nel terzo caso crescono più cose insieme, ma le erbacce sono più forti e soffocano il seme. Accade quando noi vogliamo far coesistere la volontà di Dio con le cose del mondo: preoccupazioni mondane, ricchezze materiali, progetti, quando siamo incapaci di lasciare nostri vecchi modi di fare, quando non vogliamo lasciare alcuni vizi. Quante volte abbiamo sprecato la grazia per far convivere l’amore di Dio con altre cose che non c’entrano niente. C’è dunque da far attenzione a ciò che coltiviamo e facciamo crescere nella nostra interiorità.

Poi, per ultimo, c’è il seme che cade sulla terra buona. È la Parola accolta con gioia, Parola ascoltata e praticata, Parola che scaccia via ogni menzogna che alberga nel nostro cuore per portare la verità di Cristo. Questa Parola porta frutto nella misura in cui gli apriamo la porta del nostro cuore, nella misura in cui gli facciamo spazio, nella misura in cui diventa la bussola di tutto il nostro agire! «Allora io voglio farmi terra buona, terra madre, culla accogliente per il piccolo germoglio. Come una madre, che sa quanto tenace e desideroso di vivere sia il seme che porta in grembo, ma anche quanto fragile, vulnerabile e bisognoso di cure, dipendente quasi in tutto da lei. Essere madri della parola di Dio, madri di ogni parola d’amore. Accoglierle dentro sé con tenerezza, custodirle e difenderle con energia, allevarle con sapienza. Ognuno di noi è una zolla di terra, ognuno è anche un seminatore. Ogni parola, ogni gesto che esce da me, se ne va per il mondo e produce frutto. Che cosa vorrei produrre? Tristezza o germogli di sorrisi? Paura, scoraggiamento o forza di vivere?»

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