XIII domenica del tempo ordinario

È un nuovo inizio, come accade nella vita di tutti: ci sono momenti, luoghi, geografie che segnano un cambio di passo, un’inversione di rotta. A volte scelta, a volte subita.

Dopo aver percorso i sentieri polverosi della Galilea, Gesù si dirige verso la Giudea. Dalla periferia al centro. Dalle lontananze al cuore.

Dal chiarore dell’alba al sole splendente di mezzogiorno, quello stesso sole che si eclisserà il giorno della sua morte poco fuori le mura di quella Gerusalemme che ora è dinanzi ai suoi occhi (v. 51).

Una città che non lo accoglierà, rifiutandolo, disconoscendone il nome e la voce. Così come non lo accoglieranno quei Samaritani che avevano ben intuito la destinazione del suo viaggio (v.53).

C’era idiosincrasia tra Giudei e Samaritani. Era un rifiuto quasi a pelle. Ma Egli li accoglierà nella loro non-accoglienza: mostrando ai suoi bellicosi discepoli (v.55) e a tutti noi che il cuore può essere più largo delle battute d’arresto che si incontrano inesorabilmente nei nostri cammini di vita.

Mentre accade tutto questo, alcuni anonimi personaggi, incuriositi e volenterosi, si avvicinano ai discepoli. Sono anonimi ma con le idee ben chiare: vogliono entrare nella piccola comunità che seguiva il Rabbi di Nazaret!

Ma la reazione di Gesù è sorprendente! Sono parole dure, quasi sprezzanti.

Non ci abitueremo mai pienamente: spesso e volentieri, quando a Gesù vengono poste domande e interrogativi o gli vengono consegnate suggestioni o esclamazioni, lui risponde con un’apparente deviazione. E il povero interlocutore si sente disorientato, perso: cosa vorrà dire?
Non ha capito Lui o c’è dell’altro?
In effetti, c’è dell’altro!

Con Lui, il Signore Gesù, gli orizzonti sono sempre più ampi di quanto possiamo immaginare; c’è un tesoro da scoprire e di cui noi non siamo consapevoli. Le sue risposte, così diverse, così dislocanti, così alternative sono chiavi che aprono percorsi inaspettati. Sono una rivelazione, una parola nuova sussurrata per coloro che potranno ascoltare, che desiderano non rimanere impantanati nell’illusoria tranquillità dell’abitudine, ancorati nella dolcezza amara delle sicurezze che danno morte piuttosto che vita.

Le sue risposte che indicano un’altra direzione ti dicono che la vita vera – quella che cerchi – è proprio da un’altra parte rispetto a dove stai andando tu!

Si saranno sentiti così i tre interlocutori del testo odierno. Sono senza volto ma desiderosi di seguirlo. Una richiesta conveniente per Lui: in una logica di mercato, l’ingresso di forze nuove sarebbe stato importante per la piccola comunità riunita intorno al Maestro di Nazaret. Nuove energie, nuove prospettive, possibilità ulteriori per allargare i confini dell’annuncio: difficile dir di no. E, infatti, Gesù non oppone un rifiuto; ma neanche dischiude subito un’accoglienza incondizionata.
Sono parole altre.
Che rivelano una sapienza antica eppure nuova.

Che mostrano cosa significhi seguirlo; camminare con Lui, spendersi per Lui.

Sono affermazioni che sembrano celebrare l’indifferenza, una sorta di distanza fredda da tutto e da tutti. Parole dette con una certa nettezza: che i morti seppelliscano i morti! (v.60) Non proprio una frase tenera! Parole che invitano ad una distanza. E la distanza è una dimensione chiave di ogni vocazione.

Qui il termine vocazione assume un’interpretazione ampia: è il nome dato al cammino di ogni discepolo. Quando decidi di seguirlo, di mettere i tuoi passi dietro i suoi, stai già rispondendo. E ti lasci tutto dietro. Paolo, nella II lettura, la chiama libertà (Gal 5,13). Perché la chiamata a seguirlo è una chiamata alla libertà: da accogliere, certo! Da ricevere in dono eppure da costruire, da non dare per scontato; è un dono, la libertà! Ma anche un impegno, un lavoro. Un dono da far crescere.

Il distacco è il grembo in cui la libertà cresce. Ma questo distacco non va confuso con una dimensione fisica o geografica né tantomeno con una mancanza di buona educazione. È ben altro: è la capacità di guardare ogni cosa, di stare nelle cose della vita (aratri, campi, famiglia, sepolture, lavoro, morti) senza attaccamento. Le parole di Gesù indicano un modo di vivere che non rifiuta o rigetta le cose del mondo, chiudendo gli occhi o turandosi il naso. Si tratta di guardare tutto, di sporcarsi le mani nelle trame della storia non disprezzandole ma anzi rispettandole così tanto da cogliere ciò che si muove dietro, ciò che sta al centro, che è il tesoro prezioso e che proprio per questo motivo non può essere mai pienamente controllato, posseduto, compreso e che pertanto ti spinge a cercare sempre, a sempre ricominciare, a sempre ripartire, facendo di ogni luogo la tua casa e di nessuna casa la tua prigione.

Proprio per far questo occorre imparare l’arte di saper mettere una distanza buona tra noi e le cose non per indifferenza ma per rispetto, rinunciando alla pretesa egolatrica di possedere tutto, tutto controllare, tutto comprendere, tutto determinare. Il distacco, prima ancora che una scelta materiale, è una dimensione interiore, un ritmo del cuore che ti fa abitare il mondo guardandolo, amandolo, rispettandolo senza però farsi imprigionare né imprigionandolo. È un processo, lungo, infinito, che dura tanto quanto saranno i nostri giorni.

Le parole di Gesù che definiscono i tratti della vocazione sono sussurri per costruire una vita libera e liberante: solo apparentemente sembra un invito all’indifferenza alle cose e alle persone. È invece grande attenzione, è sguardo attento alle vicende della storia e delle persone ma imparando ad abitare e a camminare nella vita creando libertà, rispetto, delicatezza, autenticità, rinuncia al dominio e al controllo e al potere nelle relazioni con i fratelli, le sorelle, con le situazioni e con tutto ciò che costruisce la nostra vita.

Questa è la rivelazione contenuta nella pagina odierna: una sapienza di vita, una vita piena, gustosa, autentica che solo le parole sprezzanti e vere del Signore Gesù possono far germinare.

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