XII domenica del tempo ordinario

L’intervento di Dio sul mare e sulle acque fluviali nella Bibbia è abbastanza ricorrente e, se in determinati casi, come quello del Diluvio universale (Gen 9 – 10) esprime distruzione, dolore e disfatta, in tante altre occasioni delinea invece l’efficacia di Dio a favore dell’uomo, la prerogativa cioè della salvezza e della vita. Come nel caso del libro di Giosuè, quando i sacerdoti che conducono di peso l’Arca dell’Alleanza accompagnati dal popolo intero degli Israeliti raggiungono il fiume Giordano in piena. Non appena però le piante dei loro piedi ne toccano le acque, si dischiude davanti a loro un estesissimo sentiero all’asciutto, poiché le acque fluviali che giungono da nord si trattengono formando un argine compatto e quelle provenienti da sud svaniscono quasi del tutto. I sacerdoti con l’arca possono fermarsi anche nel bel mezzo del Giordano senza essere toccati dall’umidità e anche il popolo intero può attraversare lo spazio del fiume all’asciutto. (Gs 3, 7 – 17). Episodio analogo è il famoso passaggio del mar Rosso: mentre il popolo è inseguito dai minacciosi carri e cavalli degli Egiziani: gli Israeliti passano all’asciutto mentre le acque a destra e sinistra formano una muraglia e non appena raggiungono l’altra riva esse tornano a defluire nella forma originale travolgendo e disperdendo i nemici Egiziani. (Es 14 – 15). In questi come in altri casi, Dio protegge il suo popolo dai pericoli delle acque naturali. Dimostra la sua sollecitudine intervenendo nelle circostanze rischiose o in presenza di un pericolo imminente, mostrandosi così alleato vicino di chi soffre, lotta, ansima continuando a sperare in Lui. Anche il sopra ricordato caso del diluvio, a dire il vero, è elemento di salvezza per l’umanità, perché se Dio annienta tutto il sistema di creazione fino ad allora esistente, curandosi di preservare otto persone della specie umana e capi di bestiame e di animali secondo le varie specie, questo avviene perché vuole restaurare il mondo ai fini di immergere l’uomo in un rinnovato sistema sul quale realizzare la convivenza con i suoi simili. A proposito del profeta Giona, la cui disobbedienza ai moniti divini procura una tempesta nella nave sulla quale viaggia, l’intervento di Dio sul mare è ai fini di correzione e di emendamento: Giona, smascherato dagli altri naviganti come colpevole di quanto accade, viene gettato fra i flutti marini, e questo procura che la tempesta si plachi. Viene inghiottito da un pesce, nel ventre del quale rimane per tre giorni e tre notti, prima ancora di venirne buttato fuori. Il mare e le acque sono quindi luoghi della salvezza divina, dell’incontro di Dio con l’uomo e dell’intervento risolutore di Dio a vantaggio dell’uomo. Ma sono anche l’elemento di pedagogia con cui Dio ci sollecita a avere lui come riferimento nelle prove, nel dolore e nelle “tempeste” continue che imperversano nella nostra vita. Così Giobbe, che discute con i suoi amici sulla possibile causa delle disgrazie che gli sono accadute, alla fine trova la risposta ai suoi quesiti nello stesso Signore (I lettura) che interviene “dal mezzo dell’uragano, indicandogli come proprio lui ha dominato il mare e ha fissato i limiti alle acque. L’invito è a non competere con Dio, ma la supremazia che dimostra Questi sul cosmo e sulle forze della natura esorta il perseguitato Giobbe alla fiducia nel Signore, a trovare in lui il sostegno e le motivazioni di coraggio e di forza per sostenere il dolore e la prova. Che Dio sia al di sopra degli elementi contingenti e che domini il vento e il mare è sempre corrispettivo di invito alla fede e alla perseveranza, a non soccombere alle difficoltà e alle crisi, ma piuttosto a trovare nel Signore le ragioni ultime del dolore e della lotta.

Così Gesù, Figlio di Dio, dorme nella poppa dell’imbarcazione sulla quale è salito assieme ai suoi discepoli dopo aver congedato la folla. Sembrerebbe anomalo che continui a dormire indisturbato nonostante il trambusto e l’impeto del mare che ha riempito la barca di acqua. Nessuno resterebbe assopito o inerte in circostanze come queste. Probabilmente quello di Gesù è un sonno “voluto”, preordinato, finalizzato a risvegliare la fede e la speranza dei suoi discepoli: come già nell’Antico Testamento, Gesù vuol dimostrare che, presente lui stesso Figlio di Dio nella barca, a casa, al lavoro e in qualsiasi altra circostanza, ogni tempesta si placa. Non si deve temere e soprattutto non bisogna lasciarsi sorprendere dalla sensazione che Dio non sia con noi nelle vicende tristi della vita. Nella prova, nel dolore e nella difficoltà può sempre incombere il dubbio del “silenzio di Dio” (Bonheffer) e della sua indifferenza, ma Gesù vuol rassicurarci della sua presenza costante al di là delle apparenze. La fede nella croce e nella resurrezione è la chiave di volta per superare ogni prova e ogni dolore, perché in tale dimensione è possibile vincere ciò che in apparenza è invincibile e superare ogni ostacolo trovando la forza per dimenarsi nel vortice e uscire illesi dalla tempesta. D’altra parte le lacrime stesse possono essere gli occhiali con cui incontrare Gesù Cristo (papa Francesco) e proprio la persecuzione e il dolore tante volte sono occasioni perché di Lui si faccia esperienza.

Forse il segreto della vittoria è proprio quello di non mancare di fede nelle difficoltà, non darla vinta al dolore e alla disperazione perché non abbiano il sopravvento, ma soprattutto domandarsi: “Cosa vuole Dio da me in questo momento di angoscia? Qual è il suo progetto su di me nell’ora della prova e della lotta? Come devo corrispondervi? E in tal modo cercare un senso alla sofferenza, darsene una ragione che sia sufficiente ad alleviare il dolore medesimo.

Altrettanto importante è la considerazione dell’”innocenza di Dio” e della responsabilità dell’uomo in ordine alle tempeste e ai fortunali della vita: non di rado capita che incolpiamo il Signore dei guai e delle disavventure che noi stessi ci siamo creati e dei quali noi soltanto siamo responsabili. Il che vuol dire immergersi nel mare quando imperversa la bufera.

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