II domenica di Quaresima

La liturgia della seconda Domenica di Quaresima mette in parallelo l’esperienza di Abramo e quella dei tre discepoli di Gesù sul monte Tabor. Abramo fa esperienza di una forte presenza di Dio e riceve la promessa di una numerosissima discendenza. Dio stipula con lui un’alleanza tramite il sacrificio di alcuni animali.

Anche Pietro, Giacomo e Giovanni, sul Tabor, durante la preghiera di Gesù, sentono forte la presenza di Dio. Non ricevono – come Abramo – delle promesse divine, ma la certezza che in Gesù stesso, loro maestro, si compie tutto il disegno d’amore e di salvezza del Padre per l’umanità. E questo disegno si compirà tramite il sacrificio dello stesso Signore, che offre la sua vita. Questo è l’argomento del colloquio di Gesù con Mosè ed Elia.

Gesù prepara i suoi tre discepoli allo scandalo della croce con questo momento forte, in cui il loro spirito si può “ricaricare” e diventare più forte.

Questo è un esempio per noi: abbiamo bisogno di momenti di ricarica, per poter affrontare gli scandali e le sofferenze della vita.

Gesù è salito sul monte, come Mosè era salito sul Sinai e come il profeta Elia sul monte Horeb.

Tutti e tre hanno sofferto per i tradimenti del popolo, e la ribellione di molti, che essi amavano. Hanno saputo superare le prove con una fiducia profonda in Dio e con la forza che Dio solo può dare.

Proprio Mosé ed Elia annunciano a Gesù quanto succederà a lui in modo ancor più violento. Ciò che li unisce a Gesù è la sofferenza, ma anche la gloria da essa generata.

Tutti e tre su un monte hanno incontrato la potenza dell’amore di Dio, potenza sapiente e ricca di tenerezza. Sul monte hanno trovato la forza per non scoraggiarsi, ma per andare avanti senza esitazione e compiere la volontà di Dio.

Gesù oggi si trova sul monte per pregare. E la sua preghiera è una completa immersione nell’amore e nella volontà del Padre. É per questo che il suo volto, anzi, persino le sue vesti diventano luminose, portatrici di verità, di gioia, di splendore.

Lo stesso accade a chi imita Gesù nel suo itinerario di preghiera quotidiana: chi entra nella volontà di Dio diviene un tutt’uno con lui. La voce che esce dalla nube e raggiunge i tre discepoli assonnati conferma quanto i discepoli avevano già intuito. Gesù è dichiarato da Dio Figlio suo, e quindi re per tutti i popoli, come ci fa cantare il salmo secondo. Questa identità regale è quella tipica del Messia, di colui che porta nel mondo in maniera concreta e visibile la divinità del Padre.

Un altro parallelo tra Abramo e Gesù è questo. Gesù è il figlio prediletto, così come il figlio di Abramo, salito col padre sul monte portando la legna per il proprio sacrificio, era il figlio prediletto. L’unico figlio, tanto atteso e amato.

Il figlio di Abramo è stato sostituito dall’ariete, perché era solo una immagine del Figlio di Dio.

Gesù invece non può essere sostituito da nulla e da nessuno: egli si offre per donare il proprio corpo e il proprio sangue. Gesù è l’unico sacrificio che può realizzare definitivamente la salvezza con cui Dio vuole amare le sue creature.

Gesù porta con sé tre discepoli e in questo modo ci fa capire che egli vuole farci partecipi sia della sua preghiera che della sua gloria, ma anche della sua offerta e della sua croce.

Non dobbiamo spaventarci della croce: essa è solo un passaggio intermedio. La metà finale è la trasfigurazione e la gloria.

Solo in tre assistono alla trasfigurazione. Ciò ci suggerisce che nella Chiesa Gesù stesso ha previsto ruoli e servizi diversi. È la Chiesa intera che gode l’amore del Padre e condivide l’offerta di Gesù, e nella Chiesa ognuno ha la sua chiamata personale.

Ognuno nella Chiesa lascia trasparire dalla propria persona lo splendore di quella luce che rese le vesti ed il volto di Gesù indimenticabili per i tre apostoli.

Paolo, nella seconda lettura, ha proposto se stesso e il comportamento degli altri cristiani come esempio, quando scrive ai fedeli: “Fatevi miei imitatori, fratelli, e guardate a quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi”. Potessimo tutti dire così! Dovremmo dire così.

Dovremmo vivere con la preghiera di Gesù sempre nel cuore: allora anche la sua luce risplenderebbe. Ciò significa coltivare costantemente il desiderio di offrirci al Padre per essere da lui accolti come sacrificio.

Durante la preghiera la luce di Cristo illumina il nostro volto e lo rende amabile ai fratelli.

La preghiera è per noi il monte sul quale incontriamo Dio: noi ci offriamo ed egli agisce, trasformandoci, facendo di noi un dono per il mondo, che ha continuo bisogno di conoscere e di godere la sua presenza.

Il Padre desidera che noi ascoltiamo Gesù, suo Figlio prediletto: le parole di Gesù ci raggiungono quando il nostro cuore è immerso nella preghiera, nel desiderio di appartenere al Padre.

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