II domenica di avvento

Quella di oggi è la seconda domenica d’avvento, la seconda tappa del percorso verso il Natale, l’incontro col Signore. Non dimentichiamoci che l’avvento è 3 al prezzo di 1: preparo l’incontro definitivo con quel Gesù che nacque 2000 anni fa e che mi viene incontro nel mio oggi, in questo odierno Natale che è così spesso ingolfato di tanto rumore e tanta inutilità.

La prima tappa era quella di svegliarci dal sonno (vegliare implica che si è già svegli), quel sonno fatto di scelte mancate, di speranze deluse, di mediocrità. Siamo nel tempo del covid, una disgrazia, eppure ci ha aperto gli occhi: quanta superficialità che trasudava dal sentirci onnipotenti, potevamo progettare il nostro tempo come ci sembrava giusto. In un attimo ci siamo trovati sballottati e smascherati nella nostra precarietà: umana, relazionale e di fede. Quanta fatica ad obbedire alla realtà. Ovviamente con il dolore di tanti affetti colpiti da questa malattia; aggiungiamoci un’informazione “morbosa” di particolari che non ci ha aiutato ad un rapporto serio e prudente alla malattia. L’invito della prima settimana era una tromba che alzava la voce: Svegliatevi!

Oggi è la seconda puntata, direi anche un pochino più articolata, fatta da due poli: il Signore viene e, quindi, prepara la strada a questo incontro.

Il primo punto è la colonna che ci sorregge: il Signore Gesù arriva, significa che sa dove sei, dove stai, come vivi, conosce i tuoi bisogni e cura i tuoi desideri più veri e profondi. Israele in Egitto si sentiva abbandonato alla disperazione per una schiavitù che sembrava inesorabile, finché non ha gridato, esattamente come Giobbe che griderà di dolore nell’abisso della non comprensione e nella paura di essere stato abbandonato; le due vie sono chiare: o gridi o abbozzi, o vivi o vivacchi. Spesso noi ce la prendiamo con l’esterno, con ciò che non è noi stessi: gli altri, la nostra storia, il covid, la crisi economica, i politici…il resto di questo rosario lo conosciamo bene. Perché facciamo così? Perché io faccio così? Nei miei problemi, nelle mie paure, negli insuccessi, sempre lo stesso schema: io non ho vinto per colpa degli altri. È ovviamente un approccio infantile, però la radice è che, in fondo, se tutto dipende da me non si va lontano e, non potendo fare guerra a me stesso, mi tocca farla agli altri, facile, no?

Gesù oggi fa saltar il banco: vengo io! Di persona, nello splendore della mia maestà e nella potenza di un amore che sa sanare tutto, al quale niente e nessuno può resistere. È finita l’attesa, è finita la solitudine e la paura. La prima lettura proprio questo annunciava col grido di consolare il popolo: il nostro salvatore ha deciso di prenderci, di riprenderci con sé, di portarci a casa, lì dove si può vivere nella pace. Badate bene che il Paradiso è la Pace, ma se non la si assaggia sulla terra dopo uno non la riconosce, si potrebbe trovare spiazzato. La salvezza è entrare nell’anticipo sulla terra di quella pace che ci attende in cielo: stare col Signore che ci porta al Padre, amati e mossi dallo Spirito Santo.

Questo allora comporta riguardare il nostro cuore: io quella pace la voglio veramente o mi accontento di un ritocchino qui e là? Magari un po’ di chirurgia estetica all’anima, un botulino alla vita? I risultati sono evidenti. Nell’antichità si preparava la strada nel deserto al re che veniva in visita all’altro re. Qui è necessario guardare il nostro cuore e riconoscere che dentro c’è cresciuta la sterpaglia della “vanità” (sarebbe meglio tradurla come “fuffa”, “nientitudine”), i colli delle nostre scelte sbagliate e non corrette, le valli delle mancanze d’amore che abbiamo creato e causato, e quelle che ci siamo tenute dentro, una scusa sempre pronta. La seconda lettura lo direbbe come: impara a scegliere di vivere e custodire per ciò che veramente ha valore, per ciò che può essere provato col fuoco e rimanere in piedi.

Giovanni Battista, che è l’immagine della seconda domenica è uno che ci viene proposto non per vedere la sua “specialità” ma come uno che ha deciso di prendersi sul serio: aveva nel cuore la chiamata ad essere profeta e quella ha vissuto! Ha lasciato ciò che era vano e si è messo a gridare nel deserto per chi cercava veramente, per chi si era già messo in movimento è stato un faro. Questo era il suo modo di preparare la strada e di colmare le valli. Quando ascolti il Signore entri in una fecondità nuova: Giovanni gridava nel deserto e uno si potrebbe chiedere a che servisse, non era in fondo meglio gridare nella piazza di Gerusalemme? Beh, a lui veniva tanta gente da tutte le parti.

Giovanni ha vissuto queste letture, non le ha capite e riflettute, le ha fatte sue, meglio sarebbe dire che è diventato queste letture e oggi ci viene proposto come modello.

La promessa del battesimo nello Spirito santo è per chi si è svegliato, per chi ha iniziato a provare la sete di Dio, o di felicità o di amare veramente, sono sinonimi.

Come dire: non avere paura, l’osso duro che è il tuo cuore di pietra lo cambio io, lo fondo e lo plasmo con il fuoco dell’amore dello Spirito Santo.

È un invito rivolto a te, oggi. È la possibilità di riprendere in mano la tua vita e di vivere veramente, di generare vita vera: cosa scegli?

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