4^ Domenica di Pasqua

Io offro la mia vita
Le acque tranquille dell’incontro con Dio… acque di quieta sequela. Perché inerpicarsi per sentieri sconosciuti nel tentativo di dire a se stessi: “Ce la faccio da me? Non ho bisogno di nessuno…”. È cosa lieta fare esperienza dell’aiuto degli altri, ascoltare le indicazioni di chi è avanti a noi, seguire la voce di Colui che è il senso ultimo di ciò che siamo. Tu sei con me. Questo è il bastone del nostro cammino, il bastone della sicurezza che permette di non temere pericoli. Tu sei con me. Una mensa imbandita, olio profumato, gioia traboccante… avere felicità e grazia ogni giorno… se solo volessimo essere chiamati per nome da un unico Pastore. “A chi Dio tiene, nulla manca”, dice Teresa d’Avila. Abitare in Dio è saziarsi ogni giorno di più. Seguiamolo!

MEDITAZIONE

Io sono il buon pastore. Lasciarsi guidare, la più semplice delle cose umane e la più complessa. Noi non accettiamo che qualcun altro ci guidi, ne va della nostra dignità: siamo capaci di fare da soli. Quando lasceremo cadere questa vana pretesa e, girandoci intorno, ci accorgeremo che è liberante lasciarsi guidare da Dio nella nostra vita quotidiana?

Pastori o mercenari. È questione di appartenenza. Le pecore in questo possono scegliere in quale ovile stare. Quando si sta attorno agli altri per questioni di interesse, i lupi finiscono per sbranare i più indifesi e tutto si perde perché la vita diventa preda perennemente offerta a chi è il forte del momento. Quando invece gli altri rappresentano per noi un qualcuno che abbia un nome, una storia, un progetto, allora si ha il coraggio di far fronte agli assalti esterni: è la forza dell’appartenenza. La voce del pastore è familiare, rassicurante. Perché la nostra non può essere voce di pastore per chi ci frequenta? Perché continuiamo a indossare le vesti del mercenario o del lupo? Gesù offre la vita per poi riprenderla. Nulla tu perdi se lo offri per amore, perché ciò che doni continua ad essere tuo nell’altro. Anzi! Si accresce il tuo dono finché tornerà a te per essere ancora donato. La voce dell’appartenenza è la più debole oggi: si va dove soffia il vento e si cambia continuamente rotta. Appartenenza a chi, a cosa? Appartenenza all’amore. In questa parola tutto si racchiude, purché sia amore, capacità di espropriarsi e di restare assenti di sé in quanto totalmente e continuamente altrove. Chi si dona riconosce la voce dell’amore, da qualsiasi parte giunga, perché è tipico degli innamorati nascondersi per lasciarsi trovare. E Dio è un innamorato! Seguiamo le tracce del suo nome, l’eco della sua voce, la scia del suo profumo e troveremo sempre pascoli di eternità e acque fresche di gaudio e di novità nello Spirito. 

CONTEMPLAZIONE

Signore, pastore della mia vita, che io possa seguirti con piena fiducia ogni giorno. La tua bontà attenui le mie ribellioni e il mio bisogno di decidere di tutto e di tutti senza interferenze. Mi attraggano le tue parole, dolci e refrigeranti quanto forti ed esigenti. Ma a cosa mi servirà la libertà se poi sono avvinghiato senza pietà dalle spine dell’ansia e dai tormenti dell’insicurezza. Mi fiderò del tuo amore, Gesù, e ti seguirò. Quella porta stretta è la mia salvezza, il mio saldo rifugio, perché mi protegge dall’isolamento e mi sfama di comunione. Le mie larghe porte senza cardini né custodi restano in balia di ogni mercenario. Posso affidare tutto ciò che sono al primo avventuriero che mi alletta con promesse, accarezzando i miei sogni di guadagno, ma che alla prima voce che si alza minacciosa mi abbandona a me stesso? Tu, Signore, tu sei il mio pastore, e io ti seguirò per trovare riposo nella pacata quiete della tua amorevole presenza.

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