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V^ Domenica di Quaresima

Dal nulla il frutto di una vita nuova

Se il chicco di grano ca­duto in terra non muo­re, rimane solo; se in­vece muore produce molto frutto. Il centro della frase non è il morire, ma il molto frutto. Lo sguardo del Si­gnore è sulla fecondità, non sul sacrificio. Vivere è dare vita. Non dare, è già morire. Tuo è solo ciò che hai dona­to. Come accade per l’amo­re: è tuo solo se è per qual­cuno.

Un chicco di grano, il quasi niente: io non ho cose im­portanti da dare, ma Lui prende questo quasi niente e lo salva, ne ricava molto frutto. Sarò un chicco di gra­no, lontano dal clamore e dal rumore, caduto nel silenzio, seminato giorno per giorno, senza smania di visibilità e di grandezza, nella terra buona della mia famiglia, nella ter­ra arida del mio lavoro, nel­la terra amara dei giorni del­le lacrime. Chicco di grano che prendi in mano e sem­bra una cosa morta, una co­sa dura e spenta, mentre è un nodo di vita, dove pulsa­no germogli. Così è ogni uo­mo: un quasi niente che però contiene invisibili e im­pensate energie, un cuore pronto a gemmare di pane e di abbracci. Chi vuole lavorare con me, mi segua. Seguire Cristo, u­nico modo per vederlo. Per rispondere alla richiesta che interpella ogni discepolo: vogliamo vedere Gesù. L’uni­ca visione che ci è concessa è la sequela. Come Mosè che vede Dio solo di spalle, men­tre passa ed è già oltre, così noi vediamo Gesù solo cam­minando dietro a lui, rinno­vando le sue opere, collabo­rando al suo compito: por­tare molto frutto. Gesù, uomo esemplare, non propone una dottrina, rea­lizza il disegno creatore del Padre: restaurare la pienez­za, la gloria dell’umano. Glo­ria dell’uomo è il molto frut­to di vita, gioia, libertà. Glo­ria di Dio è una terra che fio­risce, l’uomo che mette gemme di luce e di amore. L’anima mia è turbata, Pa­dre salvami. Mi possono to­gliere tutto il Vangelo, ma non i turbamenti di Gesù, il suo amore inerme e lucido, il suo amore inerme e virile insieme. Mi danno tanta for­za come per uno trovare un tesoro. Perché mi dicono che ha avuto paura come un coraggioso, che ha amato la vita con tutte le sue fibre; che non è andato alla morte col sorriso sulle labbra, ma con un atto di fede. Poiché è uomo di carne e di paure, e ama a tal punto, in lui splende la gloria del Pa­dre e la gloria dell’uomo. In­nalzato, attirerò tutti a me. Alto sui campi della morte, Gesù è amore fatto visibile. Alto sui campi della vita, è a­more che seduce. E mi atti­ra, dolce e implacabile, ver­so la mia casa, verso la mia gloria, verso il molto frutto.

– Breve presentazione della lettera Pastorale del Vescovo –

…La fede  adulta è operosa. Non si conclude nella comunione con Dio, ma sospinge ad uscire da se stessi, per realizzare la comunione con il prossimo:  “Una relazione con Dio che rifugge dalla relazione con gli altri è illusoria”  insiste il Vescovo. E’ vero: “Spesso non è facile comprendere quale rapporto c’è tra la fede e la vita familiare, la professione, le scelte civili ed economiche. Eppure la relazione con Dio si at­tua qui come in chiesa e nella preghiera. Essere un buon marito e una buona moglie, un genitore responsabile, uno studente diligente, un professionista serio, un politico proteso al bene comune, una persona attenta ai bisognosi prodotti dalle vecchie e nuove povertà, ha sicuramente a che fare con la fede; anzi, è la fede che si fa vita, si fa storia, incarna Dio nell’uomo e trasfigura l’umano in divino.

Per concludere.

II Vescovo ringrazia coloro che si dedicano alla educazione cristiana dei fanciulli, degli adolescenti e dei giovani, che svolgono un ruolo essenziale e prezioso. Ma sollecita a trovare e a intensificare forme pastora­li orientate alla formazione cristiana anche degli adulti. Per farlo, dovremo comprendere e valorizzare i caratteri del cristiano adulto (come tratteggiati sopra) e in particolare del cristiano adulto nella nostra chiesa, nelle nostre parrocchie. Adulti in una chiesa adulta, per essere a propria volta formatori delle nuove generazioni nella trasmissio­ne della fede nel mondo di oggi.