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IV domenica di Quaresima

“Perduto e ritrovato”: sono le parole del padre che chiudono la parabola. “Bisogna far festa e rallegrarsi, perché questo figlio era morto ed è tornato alla vita, era perduto ed è stato ritrovato”.

Perduto quel figlio lo era davvero. Perduto perché in casa non si trovava bene. E al momento opportuno aveva chiesto la sua parte di soldi e se ne era andato. Magari aveva anche sbattuto la porta, per far capire che ora si sentiva finalmente libero; perduto a causa delle cattive compagnie, che lo facevano sentire grande: aveva soldi da buttare e non si era trovato senza compagni finché aveva avuto soldi in abbondanza: perduto, perché aveva toccato il fondo dell’umiliazione: per un ebreo, di famiglia ricca per di più, fare il guardiano dei maiali era la cosa peggiore che si potesse immaginare.

Per gli ebrei il maiale era un animale impuro e quindi stare con i maiali tutta la giornata significava essere “impuro”, un lontano da Dio. E poi Lui, il figlio del padrone, alle dipendenze di uno straniero. Pieno di fame al punto di rubare le carrube ai porci! Era veramente perduto, quel figlio.

Perduto, ma non dimenticato, anzi sempre amato. Così quando aveva fatto ritorno alla casa di suo padre, pieno di fame, sporco, scalzo, coi vestiti laceri e con il discorsetto preparato a memoria… le reazioni di suo padre non erano state quelle che si aspettava. Il vestito bello, i sandali, l’anello al dito e la festa: ecco cosa aveva fatto il padre per lui.

Troppo buono: al punto che l’altro figlio non capisce e si arrabbia. Quando si ritrova qualcuno che si pensava perduto, “bisogna” far festa. Almeno… Dio ragiona così quando noi torniamo alla sua casa. Dio ci accoglie così anche se arriviamo dopo aver buttato via il suo tesoro.

L’aspetto più difficile di tutto l’annuncio cristiano a volte non sono i misteri, ma la l’affermazione della bontà di Dio. Ognuno di noi vorrebbe aggiustare o interpretare la bontà di Dio. Invece la bontà di Dio si rivela sempre superiore e diversa dalle nostre attese. E questo avviene soprattutto di fronte alle persone che hanno peccato ma che hanno fiducia nella misericordia. Gesù nel vangelo sorprende tutti: va a mangiare coi peccatori, difende una donna adultera, chiama tra gli apostoli un pubblicano, entra nella casa di Zaccheo, benedice e conforta un ladrone sulla croce.

Gesù racconta questa grande e commovente parabola che fa percepire la grandezza del cuore di Dio, che fa capire come Dio si è comportato e si comporta con noi. “Gli corse incontro, lo baciò, lo strinse forte a sé”. Quante volte il Signore ha fatto così con noi e quante volte ancora lo farà, finché non ci porta al sicuro della sua salvezza!

La parabola ha un centro: il padre; attorno al padre si muovono le due vicende: i due figli. I due figli sono due tentazioni della vita e noi talvolta assomigliamo al primo, talvolta al secondo, talvolta facciamo convivere la cattiveria di tutti e due.

Ora, non guardiamo solo questi due figli, piccoli e meschini, così simili a noi. Impariamo a guardare il padre. Questo Padre.

“lo vedo un Padre che lascia andare il figlio anche se sa che si farà del male (voi l’avreste lasciato andare?), correndo un immenso rischio educativo.

Vedo un Padre che scruta l’orizzonte ogni giorno, senza rancore, senza rabbia, con una pena infinita. Vedo un Padre che corre incontro al figlio minore, che lo abbraccia. Che non gli rinfaccia né chiede ragione dei soldi spesi (“te l’avevo detto, io!”), che non lo accusa (“lo dicevo, a tua madre!”), che smorza le sue scuse (e non le vuole), che gli restituisce dignità, che fa festa.

Vedo un Padre ingiusto, esagerato, che ama un figlio che gli augurava la morte (“dammi l’eredità!”), che vaneggiava nel delirio (“mi spetta!”); un Padre che sa che questo figlio ancora non è guarito dentro ma pazienta e già fa festa.

Vedo un Padre che esce a pregare (esce a pregare!) lo stizzito fratello maggiore che tenta di giustificarsi, di spiegare le sue buone ragioni. Un Padre che cerca di guardare all’essenziale e insegna a guardare oltre le apparenze; a non giudicare superficialmente, a usare la misericordia più della giustizia.

La misericordia più della giustizia. Vedo questo Padre che accetta la libertà dei figli, che pazienta, che indica, che stimola. Lo vedo e impallidisco.
Dio è così? Fino a tal punto? Così tanto? .

La riflessione dell’ Antico Testamento trova in questa parabola incandescente la sua definitiva rivelazione. Dio è questo e non altro. Dio è così e non diversamente.
E il Dio in cui credo è finalmente questo?

Gesù morirà per affermare tale verità, è disposto a farsi condannare pur di non rinnegare questa inattesa rivelazione.

È Dio, non il figlio, ad essere prodigo, scialacquone, sciupone. Perché di esagerato, di eccessivo in questa storia c’è solo l’amore di Dio” (Curtaz).