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IV domenica del tempo ordinario

Sembra che nel brano di Luca appena letto qualcosa non torni dal punto di vista narrativo. Pare di scorgere, cioè, un brusco passaggio narrativo
che lascia intendere che l’evangelista non riporti tutte le parole di Gesù e che unisca due o altri episodi distinti nel tempo. Questo, almeno, notano i biblisti.

Tuttavia, però, nulla vieta di riuscire a ricavarne qualche nutrimento per meglio poter crescere nell’amore per Gesù e dedicarci, con solerzia, alla
causa del suo Regno.

Con solerzia, dico, lasciando perdere per strada la lusinga del pretendere da Lui un trattamento speciale.

Cosa che sembrano aver fatto i suoi concittadini di Nazaret, che una volta avutolo finalmente tra loro, non gli hanno proprio riservato una accoglienza encomiabile, ma neppur formalmente civile. Anzi!

I suoi concittadini, infatti, sono riusciti a colpire l’area più intima e segreta della sua anima, quella dove ha sede la dignità di Figlio di Dio e di Messia. Sono riusciti a farlo sdegnare.

Ed è fantastico sentire con quale divino sarcasmo Egli abbia loro risposto leggendo nei loro cuori i pensieri e le pretese di miracolo.

E’ bellissima questa reazione stizzita di Gesù a fronte della loro pretesa di un trattamento speciale, a fronte della pretesa di vedere lo spettacolo di un miracolo per poi dedicargli l’applauso… e magari, ma non è proprio così sicuro, anche la fede.

Quello che vuole insegnare Gesù è l’esatto contrario rispetto alla presunzione dei suoi concittadini: è la fede, seppur mendicante, a provocare il miracolo e non il contrario.

La fede, è la fede a far sgorgare lo zampillo del miracolo dalle sorgenti più limpide e profonde dell’anima. Anche oggi.

E la fede nasce dall’amore. Chi ama ha fiducia totale. Chi ama Gesù non pretende nulla da Lui, non mercanteggia. Lo segue e basta.

Un’ultima considerazione sul celebre detto: “Nessuno è ben accolto dai suoi”, “Nessuno è profeta in casa propria”.

Sembrerebbe, quindi, che ad essere più in difficoltà a lasciarsi andare alla fede semplice siano proprio coloro che si credono più vicini a Gesù… per tutta una serie di autoconvinzioni tutte da verificare.

Non è forse la medesima dinamica che caratterizza alcune relazioni familiari?

Non capita, forse, che del buon samaritano in casa non se ne accorga nessuno dei suoi e che sia più gratificante fare il buon samaritano fuori casa, bene in vista e magari sotto i riflettori, che non esserlo in casa, silenziosamente e invisibilmente?

Non è che sotto questo non riconoscimento del “profeta in patria” o del “samaritano domestico”, si nasconda una delle forme più occulte e insidiose dell’invidia?

Non è che ci si dimentichi troppo facilmente che “per invidia del diavolo entrò il male nel mondo”?