- Parrocchia S.S. Nome di Maria in Villa d'Asolo - http://www.parrocchiavilladasolo.com -

III domenica di Quaresima

Capita spesso di entrare in una casa e di comprendere tante cose della famiglia che vi abita dal semplice modo in cui sono organizzati gli ambienti. Capita di accedere alla cameretta di un ragazzo e di accorgersi dal disordine o dalla cura con cui la mantiene ciò che gli si muove dentro. Spesso l’ambiente in cui viviamo, i luoghi che abitiamo, la maniera in cui li custodiamo sono manifestazione del nostro mondo interiore, espressione di ciò che siamo e vogliamo essere. Si pensi alla cella di un monaco o alla piccola tenda giocattolo di un bambino, nell’angolo del salotto di casa.

Il tempio, per gli ebrei, è la casa di Dio. È lì che Egli ha voluto sostare e fermarsi, Presenza-Assenza che svela la fedeltà all’alleanza. Come le nostre abitazioni, dunque, anche l’abitazione di Dio può e deve manifestare il Suo modo di essere e di agire. La cosa curiosa, però, è che, a differenza di noi, così gelosi della nostra proprietà, Dio invece ha affidato la custodia e la cura di casa sua ad altri: al suo popolo e ai suoi ministri. Fa parte del Suo stile: ‘tutto ciò che è mio, è tuo’ (Lc 15, 31), ha confidato il Padre al figlio maggiore che è sempre in casa con Lui. Dunque, ai figli tocca la premura di organizzare gli ambienti e le ore, attrezzare le stanze, riservare gli oggetti e quanto altro è necessario perché Dio si trovi a suo agio… in casa propria!

Accade così che il tempio, l’edificio di culto, o qualsiasi altro luogo in cui noi pensiamo di poter incontrare Dio diventa riflesso non tanto di come Egli è… ma di come lo percepiamo noi, dell’idea che di Lui ci siamo fatti, o almeno di come vorremmo che fosse. E così, l’atrio del tempio convertito in mercato delle cose sacre riflette la maniera dei figli di stare in rapporto con Dio, spacciato più per gestore di imprese che come Padre di misericordia.

Ma sarà che a Dio interessano tanto questi dettagli? Pare che lo sbaglio di fondo della gente di Gerusalemme sia proprio quello di attribuire a Lui tanta premura per oggetti e suppellettili, per elemosine e sacrifici, piuttosto che accorgersi del Suo ‘debole’ per le persone!

Gesù, il Figlio primogenito, conosce bene il cuore del Padre, e sa che tutto ciò non raffigura minimamente la Sua verità; anzi, deforma il volto buono e gratuito di Dio. Non è bene, quindi, che l’immagine sfigurata di Dio travalichi i confini dell’animo degli uomini, già feriti da questa bugia. Il mercato del tempio è una bestemmia contro il primo comandamento. È la costruzione di una immagine distorta di Dio ed è quindi il cedimento alla tentazione di un idolo: quello dell’abuso della Sua assenza, per manipolarla secondo i propri interessi e le proprie paure. L’ombra del vitello d’oro si stende insidiosa sulle spalle del popolo distratto e ingannato.

Dove Dio si ritira, per non invadere lo spazio dell’uomo – perché la Presenza di Jahvè nel Santo dei Santi, stanza intima del tempio, è in realtà una Assenza, un vuoto, una mancanza -, l’uomo occupa un territorio improprio, sostituendosi allo stesso Dio. E così tradisce Lui e tradisce se stesso. Perché se di Dio non bisogna farsi nessuna immagine falsa, è perché l’unica autentica immagine Sua è proprio l’uomo, Sua creatura prediletta, creatura ‘molto buona’ (Gen 1, 31).

E l’uomo è immagine e somiglianza di Dio soltanto conservando la lacerante contraddizione di un vuoto da abitare. Il tempio deve restarne espressione e scrigno: il tesoro sta nel cuore dell’uomo. È lì il Santo dei Santi. E si riconosce nella nostalgia di Presenza che lo spinge a non accomodarsi in gesti abitudinari, in pratiche commercializzate, in azioni stereotipate; bensì a penetrare il mistero ardente racchiuso nell’Assenza, che ogni ritualità ricondotta alla sua origine consegna ai sensi di chi con passione vi partecipa. Dio e l’uomo sono mistero. Tutto ciò che parla di loro, mistero deve restare.

Gesù, dunque, con collera divina, interviene per restituire a Dio la propria identità. Gesù, con gelosia celeste, si scaglia a difendere la creatura amata (non solo le colombe indifese, che non vengono toccate nemmeno con un dito) e a riportare l’uomo alla sua origine. L’opera di trasformazione dell’animo, marchiato a fuoco dall’amore ma straziato dalla tentazione di fuggirne, non è questione di estetica o di romanticismo. Gesù sa bene che c’è da scavare dentro e incidere la carne e lo spirito dei figli – prodighi di leggi o di vanità – perché mai più si lascino distogliere dalla verità. Le sferzate, dunque, sono necessarie a una radicale sterzata: c’è da cambiare rotta, e assaporare di nuovo l’essenziale, il desiderio, il silenzio, il vuoto. Solo questo permette l’accesso del Padrone di casa, il ritorno del Signore della Vigna, la resurrezione del Re. E questa visita rivelerà nuovamente anche agli uomini religiosi che Dio è Padre, che non cerca esperti di cerimonie. Ci vuole ‘concittadini dei santi e famigliari di Dio’ (Ef 2, 19).

Fino al punto da abbandonare l’ansia di agghindare mura per tentare di trattenerLo, perché il cuore dell’uomo stesso, ora, diventa il suo talamo. E il Figlio, fatto Sposo, legato al letto del legno della croce, offre il Suo corpo come abitazione senza tempo, anticipo di eternità, presenza immortale nelle piaghe redente dalla Sua risurrezione. Vuoto, infatti, resterà il sepolcro.