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II domenica di Avvento

Mi ha sempre colpito la sincera preoccupazione dei Vangeli di collocare gli avvenimenti centrali, in essi raccontati, come in questa domenica, in un quadro storico preciso. Questa precisione tante volte mi da il sapore di una sorta di difesa da una negazione dei Vangeli stessi. Negazione che ancora oggi ha i suoi “fans”, negazioni con cui ancora oggi ci confrontiamo quando sentiamo affermazioni sul Vangelo tipo “…non si sa…”, “Ponzio Pilato non è mai esistito!”, “è tutta un’invenzione dei discepoli fondatori di una religione…”, “non c’è traccia in nessun registro di Gesù” etc. etc.. D’altronde – e San Tommaso insegna!- noi uomini siamo fatti così: pronti a credere a tutto ma anche a negare l’evidenza di tutto, la testimonianza e le lezioni della storia non bastano mai e cerchiamo continuamente prove nonostante tutto, come siamo pronti a credere, ancora oggi nell’anno del Signore 2018, che la terra è piatta (sigh!) perché ce lo confida il “conoscente” di turno. Tutto questo forse è nella nostra natura “distorta” o nei nostri bisogni umani, non so, ma quello che è certo è che quando è il Vangelo a parlare dobbiamo ricordarci che, nello stile di Dio Padre, c’è l’eleganza del rispetto della nostra libertà, a cui egli lascia tanto per credere ma anche quel tanto per poter non credere, affinché mai sia violata la capacità umana di amare nella verità, si perché nel concetto della libertà umana non c’è solo la stortura del peccato ma anche, e soprattutto, la capacità di amare veramente e, si sa, l’amore vero è tale solo quando è liberamente dato e liberamente accettato! Così, la storia ed i suoi accadimenti, anche quando sono innegabili e incontrovertibili, non sono la base per provare la verità e suscitare la fede ma una cornice importante dalla quale non si può prescindere, che può aiutare a credere ma non ci esime dalla “fatica del credere”.

Così, ad ogni stringente inquadramento storico degli eventi da parte degli evangelisti, segue sempre la descrizione di una “metastoria”, ossia del fatto centrale che trascende la storia stessa ma che della storia generale è il Fine – badate bene non la fine ma il Fine! – per i credenti. Così in quel preciso momento storico di cui non possiamo negare l’esistenza, c’è un senso che non dobbiamo scordare, senso che viene liberamente offerto da chi la storia la dirige e gli appartiene, senso di cui gli uomini sembrano tante volte voler fare a meno e negare ostinatamente ma che, come la storia stessa, è innegabile, c’è ed esiste e continuerà ad esistere oltre ogni negazione proprio perché non appartiene agli uomini ma agli uomini è offerto, donato, regalato dall’esterno, da quel Dio che non vuole farsi padrone e dittatore di nessuno ma a cui, si voglia o no, appartengono tutte le cose, e a cui tutte le “cose” fanno, ineluttabilmente, ritorno e riferimento.

Così, mentre è chiaro il quadro storico della pericope evangelica di Luca, dobbiamo soffermarci sull’azione e le parole prese in prestito dal Profeta Isaia di San Giovanni Battista che introducono il Fine metastorico: “Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!”. Attenzione, prendiamo le parole nell’esatta affermazione (non sono un “tanto per dire”!) “Ogni Uomo” cioè il Fine della Salvezza sarà un evidenza per tutti, tutti ci “sbatteranno il muso”, la salvezza che Dio offre come senso agli uomini esploderà in tutta la sua magnificenza, in tutta la Gloria che porta con se, sarà come una bomba atomica a cui, purtroppo, non esiste negazione: la bomba atomica c’è ed è un terribile strumento di morte che azzittisce ogni avversario (e la storia insegna!), il massimo della distruzione provata e, purtroppo, sperimentata, che può arrivare ovunque e per chiunque. La salvezza di Dio, specularmente parlando, è la bomba atomica in positivo, il massimo strumento per dare la vita (vita eterna!) che esploderà in tutta la sua Gloria per tutti, ma che a differenza della bomba atomica, da cui ti salvi nella misura della maggiore distanza a cui ti tieni, la salvezza di Dio salverà nella misura della minore distanza a cui ci si tiene, in altre parole, più saremo vicini all’esplosione salvifica e più entreremo a farne parte, essa ci trascinerà con se e ci abbraccerà eternamente.

Durante l’esplosione di questa “bomba atomica” salvifica, dove si colloca la nostra libertà? Essa va collocata nella libertà di scelta della distanza a vogliamo tenerci dall’esplosione della salvezza, nella voglia di tenerci stretti a quell’Amore divino che ci chiama, riconoscerlo soprattutto nella storia personale di ognuno a cominciare da noi stessi. Riconosciuto quest’Amore che ci ama, la fatica è rimanervi presenti e fedeli, accorciare il più possibile le distanze che da esso ci separano. “Preparare la via del Signore” è il centro operativo di questa volontà di rimanergli vicino, il lavoro principale e necessario affinché non veniamo trascinati via lontano da Lui, la benzina di questo motore operativo è la gioia di volerlo fare, di percepire la Sua vicinanza come fondamentale e di voler rimanere sempre uniti a lui. “Convertirci dai peccati” per ri-volgerci al calore accogliente dell’amore di Dio che ci salva è la stessa cosa che raddrizzare i sentieri, colmare i burroni e spianare i monti che ci tengono o ci portano lontano dall’epicentro dell’esplosione della Gloria che salva.

L’Avvento, come la Quaresima, sono le finestre temporali che ci vengono donate affinché si riduca la nostra distanza dalla salvezza, per trovarci, al momento opportuno, vicini al punto di deflagrazione della Gloria per essere investiti dall’esplosione della salvezza di Dio. Allora “ogni uomo vedrà ”, la differenza sta nella distanza con cui vedremo, guai a chi vedrà da troppo lontano, corre il pericolo di assistere allo spettacolo e non godere dei benefici della salvezza.

Ci prepariamo, in quest’Avvento, ad avvicinarci a Dio che, nella storia e nei fatti, annulla ogni distanza, non ne vuole nemmeno sentir parlare, e si abbandona, debole infante, fra le nostre braccia. Dio in Cristo ha fatto tutto quello che poteva, rinunciando persino alle prerogative del suo essere divino, per avvicinarsi a noi, arrivando persino a chiederci di accoglierlo nella culla delle nostre braccia, dopo aver sperimentato persino l’accoglienza reale e concreta di un grembo materno, del farsi fare una carne dalla nostra stessa carne: ora sta a noi capire e decidere, sta a noi leggere ed interpretare la storia affinché essa diventi strada verso la vicinanza alla salvezza… o lontananza da essa.

Avremo sempre, durante il nostro pellegrinaggio terreno, quel tanto per credere e quel tanto per non farlo, avremo la storia ed i fatti e avremo la capacità di ascoltarli o ignorarli o negarli, l’unico atteggiamento che, a questo punto, ci può aiutare è l’ascolto di chi ci chiama a togliere ogni ostacolo, ogni avversità, che ci impedisce di stare lontano dall’evento della Salvezza, sta a noi decidere, in questo tempo di ascolto e riflessione, la distanza che vogliamo tenere.

La parola “Avvento”, che caratterizza questo tempo, ci indica l’attesa di Colui che dà senso alle nostre vite, alla storia generale e personale, attesa di Colui che è il Fine di ogni storia e che nella storia degli uomini è entrato e l’ha scardinata dall’interno affinché essa diventi storia di salvezza. Attendere Gesù per rivivere e celebrare la sua “entrata” nella storia, il Natale, è l’occasione per allenare e confermare la nostra volontà non solo di accoglierlo ma di decidersi ad abbracciarlo, tenerlo fra le nostre braccia a cui mai egli si sottrae affinché, nel momento in cui Egli tornerà nella Gloria per mostrarci il fulgore della salvezza, la nostra vicinanza a Lui sia determinante e speriamo azzerata del tutto, ed egli, statene certi, tornerà, sicuramente tornerà, come già è venuto, sicuro come il sole che, nonostante le nostre incredulità e paralisi, anche domani sorgerà!