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II domenica del tempo ordinario

Abbiamo da poco lasciato i magi, i grandi camminatori alla ricerca della verità e di Dio, e in questa seconda domenica del Tempo ordinario la situazione è capovolta: è Dio che, in Gesù, si mette sulle strade degli uomini. Dio si fa ricerca. Da allora il nostro ricercare è “imparentato” con il suo. Sì, abbiamo un terreno in comune: ci muoviamo su strade destinate a incrociarsi. Il problema è quello del riconoscimento.

Riusciremo, anche quest’anno, a riconoscere Colui che ci viene incontro per rivelarci la passione di Dio per ogni creatura? Giovanni Battista lo ha riconosciuto e lo ha fatto riconoscere: “Ecco – ha detto – è lui”.

Proviamo ad immaginare la scena. Giovanni sta battezzando presso il Giordano mentre attorno a lui si raduna una folla di peccatori. Tra la folla c’è qualcuno che si fa avanti. Giovanni lo riconosce e ha un moto di stupore come quando si erano incontrate le loro due madri e lui aveva sobbalzato nel grembo di Elisabetta.

Certo, essendogli parente, Giovanni doveva già conoscere Gesù. Ma è diverso il riconoscere dal semplice conoscere.

Riconoscere vuol dire andare oltre i dati immediati e cogliere di una persona (al di là del nome, del volto, dell’origine, del ruolo) l’identità profonda, il segreto nascosto, il nome non ancora pronunciato.

Giovanni riconosce Gesù e pronuncia su di lui un nome nuovo. Lo chiama “Agnello di Dio”.

È come se, all’inizio di una storia, qualcuno ci dà un indizio su come andrà a finire, anche se tutto lo si capirà, appunto, alla fine. Quel Gesù che sta passando, che sta entrando nella storia e nella vita degli uomini, un giorno si farà agnello, immolandosi per noi.

Il discorso di Giovanni sembra voler rispondere a tre interrogativi: chi è Gesù? qual è la sua missione? Come svolgerà la sua missione?

Sul primo quesito, chi è Gesù, c’è una specie di progressione nelle parole di Giovanni.

“Vedete – dice Giovanni – qui c’è un uomo, quindi uno che è come tutti”. Nessuno l’avrebbe notato. “L’avete visto confuso tra voi, anche lui in attesa del battesimo. Ma quest’uomo è diverso da noi; è avanti perché era prima… È un uomo abitato dallo Spirito: io ho visto lo Spirito scendere come una colomba su di lui”. E quest’uomo è il Figlio di Dio.

Sì, perché Gesù lo si può conoscere, ammirare, celebrare come l’uomo che più di tutti ha conquistato il nostro cuore. Ma non è ancora fede.

La fede è potergli dire: “Tu, o Gesù, sei quel Dio che vado cercando. Sei tu che mi parli di Dio come nessun altro. Sei tu che mi riveli la vita di Dio, sei tu il volto di Dio. Per te io posso dire: Dio, mio padre; Dio, mio fratello; Dio, mio prossimo; Dio, mio amico…”.

Giovanni non si limita a riconoscere Gesù come Figlio di Dio, ma ne indica anche la missione.

Su questo punto le sue parole sono di una concisione estrema: “ecco colui che toglie il peccato del mondo”.

Che cosa avranno capito i suoi ascoltatori? Sicuramente più di quello che riusciamo a capire noi, almeno per quanto riguarda il senso del peccato. Là c’era gente che del peccato conosceva tutta la miseria e la vergogna. Noi invece apparteniamo a una cultura che del peccato ha perso perfino il concetto a tal punto che anche la parola appare del tutto irrilevante.

Aveva ragione Padre David Maria Turoldo quando diceva al Cardinale Schuster, arcivescovo di Milano, sconcertandolo non poco: “La mia ambizione è quella di fare dei peccatori”. E voleva dire: “quella di restituire agli uomini quel senso del peccato che hanno perduto”.

Chi di noi è abituato a terminare la giornata con un “esame di coscienza” come si usava una volta?

Chi di noi sente che il peccato ci domina, come un’energia oscura che lavora dentro di noi e ci chiude alle tensioni più alte e più belle della nostra vita?

E notate che, come Giovanni, non parliamo di peccati al plurale, ma del “peccato” come origine oscuro di tutti i peccati.
Possiamo dargli un nome? Sì, è l’incapacità di amare.

Tutto si riconduce a questa condizione di disamore: se trascuri la famiglia, se tradisci qualcuno, se ti attacchi alle cose, se non lavori come dovresti, se rubi, se non paghi le tasse… è perché sei povero o privo di amore. L’unico amore che conosci è per te stesso; o forse neanche questo, perché alla fine ti disprezzi.

Chi può togliere questo peccato dal mondo? Solo qualcuno che sia totalmente amore e capace di donare amore. Ecco perché a Gesù viene attribuita da Giovanni l’immagine dell’agnello.

L’agnello evoca l’offerta del sacrificio, poiché a Pasqua, presso gli ebrei, veniva sacrificato un agnello. Gesù – questo vuol dire Giovanni – verrà a vincere il nostro disamore con una vita che esprimerà tutta la bellezza, la tenerezza, il fascino del più puro amore. Verrà a servire, verrà a donarsi totalmente perché nasca anche nei nostri cuori almeno un germe di quella bontà che è totalmente Dono.
Questo ci dice Giovanni.

Anche noi siamo chiamati a esprimere questa confessione di fede su Gesù. È un cammino che durerà tutta la vita. Fino al termine della nostra vita, non avremo mai finito di “riconoscere” Gesù. Ma ci sostiene una certezza: mentre noi ci muoviamo alla ricerca del vero volto di Dio, anche il Signore si muove verso di noi.

Anche lui attende muovendosi. È il suo grande desiderio è di far sobbalzare di stupore il nostro cuore, forse proprio oggi, in questa domenica, come è avvenuto per Giovanni.

Oppure succederà quando ci capiterà di incontrare qualcuno che con semplicità e fortezza ci insegnerà ad amare. Ci sembrerà di vedere l’immagine stessa della bontà e ci troveremo a dire: “Ecco, sei tu, Signore. Ho visto e rendo testimonianza”.

Se dunque vogliamo arrivare puntuali all’incontro con il Signore e non deludere la sua attesa dobbiamo rimanere sempre attenti e vigilanti.

Che non accade che l’incontro svanisca nel triste epilogo così ben descritto e vissuto da Simone Weil: “Dio e l’umanità sono come due amanti che hanno sbagliato il luogo dell’appuntamento. Tutti e due arrivano in anticipo sull’ora fissata, ma in due luoghi diversi. E aspettano, aspettano, aspettano. Uno è in piedi, inchiodato sul posto per l’eternità dei tempi. L’altra è distratta e impaziente. Guai a lei se si stanca e se ne va!”