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Domenica XXXIII del tempo ordinario

La liturgia di questa domenica evoca l’ultima venuta del Signore, che è al centro della professione di fede: “E di nuovo verrà, nella gloria, per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine”. Ricorre il pensiero del ‘giudizio’, cosa che a molti cristiani incute un sentimento di paura. La venuta di Gesù, tuttavia, non può mai essere momento di paura, ma di gioia, perché è sempre visita di Dio alle sue creature e il suo giudizio ha come criterio di fondo soltanto l’amore che salva. Perciò il discorso di Gesù nel Vangelo, da una parte, ci pone davanti alla serietà della nostra vita e, dall’altra, alla necessità di rendere testimonianza all’amore di Dio. L’attesa del Signore è presentata dal Vangelo come compimento del suo progetto di salvezza e dunque come liberazione dal male. Questo futuro di speranza ha significato per il cristiano se contribuisce a trasformare il presente nella direzione del Regno di Dio. La prospettiva del giudizio non va vissuta come motivo di spavento (I° lett.), ma piuttosto come stimolo a prendere sul serio la vita davanti a Dio. La stessa serietà è indicata anche da Paolo nella II° lettura: serietà della vita quotidiana, che si esprime anche nell’attività professionale. Paolo propone se stesso come esempio: il cristiano non può perdere il tempo nell’ozio, ma è chiamato a impegnare tempo ed energie per l’utilità di tutti.