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Domenica XXX del Tempo Ordinario

Il cristiano ama al modo di Gesù

Amerai con tutto? Con tutto? Con tutto? Per tre vol­te Gesù ripete l’appello al­la totalità, all’impossibile. Perché l’uomo ama, ma solo Dio ama con tutto il cuore, lui che è l’amore stesso. Ripete due coman­di antichi e noti, ma ag­giunge: il secondo è simi­le al primo. Amerai il pros­simo è simile ad amerai Dio. Il prossimo è simile a Dio, ha corpo, voce, cuore «simili» a Dio. Questo è lo scandalo, la rivoluzione portata dal Vangelo.
Ama Dio con tutto il cuo­re. Eppure, resta ancora del cuore per amare il ma­rito, la moglie, il figlio, l’a­mico, il prossimo e perfino il nemico. Dio non ruba il cuore, lo moltiplica. Non è sottrazione ma addizione d’amore.
La novità del cristianesi­mo non è il comando di a­mare Dio: amano il loro Dio molti uomini, lo fan­no i mistici di tutte le reli­gioni. Neppure quello di a­mare il prossimo come te stesso è proprio del cri­stianesimo, presente com’è nel primo Testamento. La novità del cristianesi­mo non è l’amore, bensì l’amore come quello di Cristo. Gli uomini amano, il cristiano ama al modo di Gesù. L’amore è Lui: quan­do lava i piedi ai discepo­li, quando piange per l’a­mico morto, quando esul­ta per il nardo profumato di Maria, quando si rivol­ge al traditore chiaman­dolo amico, e prega per chi lo uccide, e neppure il suo sangue tiene per sé, e ri­comincia dai più perduti, e intende cancellare il con­cetto stesso di nemico. A­matevi come io vi ho ama­to. Non quanto, ma come; non la quantità ma lo sti­le. O rischiamo di esserne schiacciati. Impossibile a­mare quanto lui, ma pos­sibile seguirne le orme, co­glierne il sapore, il lievito, il sale e immetterlo nei giorni: come ho fatto io, così anche voi. Amerai. Tutto il nostro fu­turo è in un verbo, presen­tato però non come una ingiunzione, un secco im­perativo, ma coniugato al futuro, perché amare è a­zione mai conclusa, per­ché durerà quanto durerà il tempo. Perché è un pro­getto, anzi l’unico. E den­tro c’è la pazienza di Dio. Un futuro che traccia stra­de e indica una speranza possibile. Non un obbligo, ma una necessità per vive­re, come respirare. Amare, voce del verbo vi­vere, voce del verbo mori­re. Cosa devo fare domani, Si­gnore, per essere vivo? Tu amerai. Cosa farò l’anno che verrà, e poi dopo, per il mio futuro? Tu amerai. E l’umanità, il suo destino, la sua Storia? Solo questo: l’uomo amerà. Amare vuol dire non morire. Và e an­che tu fà lo stesso. E tro­verai la vita.

Il punto Interrogativo

C’era una volta un punto interrogativo. Era molto grazioso e come tutti i punti interrogativi aveva l’aria molto intelligente. Da un po’ di tempo però girava per il paese sconsolato, amareggiato, deluso e depresso. Apparentemente nessuno lo voleva più. Tutti ri­correvano con sempre maggiore frequenza a suo nemico acerrimo: il punto esclamativo. Tutti grida­vano: «Avanti! Fermi! Muoviti! Togliti dai piedi!».Il punto esclamativo è tipico dei prepotenti e oramai i prepotenti dominano il mondo.
Anche per le strade e le vie cittadine dove un tempo il punto interrogativo si sentiva un re, non c’era più nessuno che chiedeva: «Come stai?», sostituito da «Ehilà!». Non c’era più nessuno che fermava l’auto, abbassava il finestrino e chiede­va: «Per favore, vado bene per Bergamo?». Ora, usavano tutti il navigatore satellitare che impartisce gli ordini con decisione: «Alla prima uscita svoltare a destra!».
Stanco di girovagare, sì rifugiò in una famiglia. I bambini hanno sempre amato i punti interrogativi. Ma anche là trovò un padre e un figlio adole­scente che duellavano tutto il giorno con i punti esclamativi.
«Non mi ascolti mai!». «Non m’importa che cosa pensi! Qui coman­do io!». «Basta! Me ne vado per sempre!». Alla fine il padre era spossato e deluso, il figlio, mortificato e scoraggiato, quindi aggressivo. E soffrivano perché non c’è niente di più lacerante che essere vicini fisicamente e lontani spiritualmente. Il punto interrogativo si appostò sotto il lampadario e alta prima occasione entrò in azione. Accigliato e con i pugni chiusi, il padre era pronto allo scontro, ma dalla sua bocca uscì un: «Che ne pensi?» che stupì anche lui. Il figlio tacque sorpreso: «Davvero lo vuoi sapere, papà?». il padre annuì. Parlarono. Alla fine dissero quasi all’unisono: «Mi vuoi ancora bene?». Il punto interrogativo, felice, faceva le capriole sopra il lampadario. Il punto interrogativo non è arrogante ma rispettoso  della libertà e della responsabilità dell’altro.  

Anche la Bibbia è piena di punti interrogativi: “Adamo dove sei?”. “Caino dov’è tuo fratello?”. “Volete andarvene anche voi?”. “Pietro mi ami?”.