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Domenica 26^ del Tempo Ordinario

Gesù Maestro di Tolleranza

L’itinerario di Gesù verso Gerusalemme è un susseguirsi di insegnamenti e raccomandazioni; una specie di manuale catechetico, che serve da continuo confronto per la fede dei discepoli.

L’interrogativo posto da uno di loro: “Abbiamo visto uno che scacciava i demoni… ma non era dei nostri” descrive bene il rigido schematismo dentro cui, loro come noi, vorremmo imprigionare la libertà dello Spirito, che soffia sempre dove e come vuole. 

Non siamo noi cristiani i padroni della salvezza, donataci da Cristo. Sia pure avendo responsabilità e modalità diverse in seno alla Chiesa, noi cristiani abbiamo solo il compito di far incontrare la persona di Cristo.

La consapevolezza della gratuità del dono di Cristo ci obbliga a valorizzare tutto ciò che, nel mondo, fa presagire e manifesta la sua presenza redentrice, perché Cristo, unico ad avere una risposta esauriente all’inquietudine presente nel cuore dell’uomo, può inviare lo Spirito Santo a illuminare il cuore di ogni persona. 

Il nostro desiderio più profondo dovrebbe essere quello di Mosè, quando ha esclamato: “Fossero tutti profeti nel popolo di Dio e volesse il Signore dare loro il suo spirito!”.

Non glielo impedite

Chi non è contro di noi è per noi.

La parola “contro di noi” è una parola che ricorre spesso nei nostri discorsi interiori. Ci ritroviamo a vivere continuamente sulla difensiva, quasi che tutti ce l’abbiano con noi o stiano lì pronti a farci lo sgambetto. La realtà umana di ciascuno è molto più ampia!!! Come se in una distesa verde di montagna il nostro sguardo vedesse unicamente i fazzolettini di carta lasciati qua e là dai passanti: ci sono, ma non sono la distesa! Quali lenti portiamo nel leggere la vita nostra e di altri?

La parola di Gesù ci lascia sempre senza parole! Entra in noi e taglia i nostri pensieri e desideri che fino a poco prima di ascoltare sembravano buoni e degni di attenzione, meritevoli della compiacenza di Dio. Gesù non è geloso. Noi invece tremendamente sì. Quello che facciamo noi va sempre bene, nessuno è più bravo di noi. A parole riconosciamo ciò che di bene gli altri fanno, ma poi siamo pronti a tagliare le gambe a chiunque osa fare quel bene di cui noi sentiamo di avere l’esclusiva. L’invito è pressante oggi: “Non impedite ad alcuno di operare nel mio nome”. Non è dei nostri? Ma cosa significa essere dei nostri? Che fa parte del nostro gruppo, che viene con noi, che gironzola nei nostri ambienti? Essere dei nostri significa, ci ricorda Gesù, essere capaci di compiere cose grandi che hanno sapore di Lui. La prodigiosità non è data dall’appartenenza, ma dalla sostanza di ciò che si opera. Dare un bicchiere d’acqua è un miracolo? No. Eppure dare un bicchiere d’acqua a qualcuno solo perché quella persona sta con Gesù è meritevole di ricompensa. Quanta responsabilità nel valutare e giudicare le situazioni umane! Quanta premura ci è chiesta di avere per un piccolo che crede, piccolo perché è ai primi passi nella fede, piccolo perché ha il cuore tenero nelle cose di Dio. Siamo troppo preoccupati di noi stessi per poter porre attenzione a quanto vivono gli altri nella loro interiorità. Ci è facile dare libera espressione a ciò che sentiamo noi di essere e non ci viene di pensare a ciò che le nostre parole, le nostre azioni, i nostri pensieri espressi possono provocare negli altri. Ci basta sfogarci ? E se non ci sentiamo liberi di dire e di fare quello che sentiamo parliamo con il silenzio, con gli sguardi, con gli atteggiamenti ? Riflettiamo: tutto quello che viviamo può essere motivo di scandalo. Gesù ci chiede di eliminare decisamente da noi ciò che può essere motivo di scandalo per i piccoli. Mani, piedi, occhi. Organi vitali per te. Toglili pure. Hanno meno valore della vita di quei piccoli a cui questi organi stanno facendo del male. Guarda le tue mani: costruiscono o demoliscono? Guarda i tuoi piedi: vanno verso o assalgono? Guarda i tuoi occhi: vedono Dio in tutto ciò che avviene o vedono le tue paure riflesse ovunque? Oggetto del tuo esistere è Dio e il tuo farti prossimo all’altro? O aspetti che l’altro si faccia prossimo a te?