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Domenica 20^ del Tempo Ordinario

Dopo la narrazione del segno operato da Gesù (cf. Gv 6,11-13) e la comprensione di questo evento quale rivelazione di Gesù “pane di vita eterna” verso cui il Padre attira gli uomini (cf. Gv 6,26-51), oggi leggiamo alcune parole di Gesù che illuminano il gesto da lui lasciato ai discepoli più tardi, al termine della sua esistenza terrena: l’eucaristia, che Giovanni non presenta come “istituita” da Gesù nell’ultima cena (cf. Mc 14,22-25 e par.), ma pone qui come annuncio in bocca allo stesso Gesù.

Nel dialogo con i capi religiosi di Israele all’interno della sinagoga di Cafarnao, Gesù approfondisce ulteriormente quanto affermato lungo tutto il capitolo sesto del quarto vangelo, giungendo alla rivelazione decisiva: “Io sono il pane vivo, disceso dal cielo … Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Questo annuncio – che contiene in sé anche una promessa, come mostra il verbo al futuro – appare enigmatico e scandaloso; Gesù si esprime in termini particolarmente crudi e realistici, che ancora oggi urtano i nostri orecchi: com’è possibile che un uomo dia se stesso, la sua carne da mangiare agli altri? Sì, chi non ha la fede può solo essere scandalizzato da queste parole, che costituiscono un reale motivo d’inciampo…

Eppure, di fronte allo sconcerto dei suoi interlocutori, Gesù ribadisce l’affermazione e lo fa in tono particolarmente solenne: “Amen, amen, dico a voi: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita! … La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.”. Si tratta dunque di mangiare la carne e di bere il sangue del Figlio di Dio, cioè di comunicare a tutta la sua vita,di assimilare quale cibo e bevanda l’intera vita di Gesù, così da giungere a vivere come egli ha vissuto (cf. Fil 2,5; Tt 2,11-12). Nello stesso tempo queste parole evocano anche la passione e morte di Gesù, la sua fine violenta e ingiusta patita sulla croce, il suo corpo spezzato e il suo sangue versato, dono di una vita spesa per gli altri, dono di un amore vissuto all’estremo. Di tutto questo l’eucaristia è il segno e la narrazione nella vita della chiesa.

Va riconosciuto che questo annuncio eucaristico è davvero il grande mistero della fede e, insieme, il grande mistero dell’amore. È mistero della fede in quanto si tratta di mangiare e bere non un semplice cibo e una semplice bevanda, ma niente meno che la carne e il sangue del Figlio di Dio, colui che è disceso dal cielo (cf. Gv 3,13; 6,38.41.42) e al cielo è salito nell’ora della sua morte e resurrezione (cf. Gv 3,13; 20,17). È mistero dell’amore perché occorre accogliere, conoscere, amare e assimilare la vita di Gesù, nella certezza che essa è il racconto dell’agape, dell’amore di Dio per gli uomini (cf. Gv 3,16; 15,9; 17,23-26).

Vi è dunque una grande possibilità offerta a chi crede in Gesù Cristo, quella che Gesù stesso viva in lui e lui in Gesù: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui”. Ma c’è di più: “Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me”: attraverso Gesù il credente può partecipare della vita stessa di Dio, la vita divina ed eterna (cf. 2Pt 1,4)! Detto altrimenti: chi vive dell’amore di Gesù (cf. Gv 13,34; 15,12), vive della vita stessa di Dio che è amore (cf. 1Gv 4,8.16), amore più forte della morte (cf. Ct 8,6) e di ogni peccato (cf. Lc 7,47).

Alla luce di tutto questo si comprende bene anche ciò che sta scritto nel prologo del quarto vangelo: “la Parola si è fatta carne” (Gv 1,14), una carne che nell’eucaristia può essere assimilata sia sotto la forma delle parole di Gesù sia in quella sacramentale del suo corpo e del suo sangue. Giungiamo così a una comprensione profondissima, che illumina il grande mistero dell’eucaristia quale ci è annunciato in tutto il Nuovo Testamento: Giovanni ci rivela che l’eucaristia non è solo memoriale della passione, morte e resurrezione di Gesù, ma è memoriale di tutta la vita del Figlio, dalla sua vita presso il Padre prima che il mondo fosse, fino alla sua venuta nella gloria alla fine dei tempi. È a questo “calice della sintesi” – secondo le parole di un padre della chiesa – che noi comunichiamo ogni volta che ci accostiamo all’eucaristia.