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Ascensione del Signore

Il per sempre presente

Il crinale che segna la differenza è fra Gesù prima e dopo la resurrezione. Il Gesù “prima”, quello che ha passeggiato lungo le verdi colline di Galilea, che ha predicato a Gerusalemme, che vi è morto è lo stesso Cristo risorto che sempre i discepoli hanno incontrato e che professano risorto.

Da questo punto di vista il tempo pasquale mette insieme la resurrezione, l’ascensione e la pentecoste come il tempo del risorto, il tempo in cui riconosciamo Gesù come il Signore delle nostre vite, il tempo in cui possiamo accedere a Dio in maniera diversa, perché ora, in Dio, c’è il corpo trasfigurato di un uomo. Ma è anche il (fragile) tempo della Chiesa, di noi discepoli che professiamo la nostra fede, attendendo che egli torni nella gloria.

Tutto questo festeggiamo oggi, nella gioia di sapere che Gesù è il per sempre presente.

Marco

Il primo ad avere scritto un vangelo sintetizza l’ascensione con solennità, ad indicare che, ora, la presenza del Signore la possiamo ritrovare anzitutto nell’esperienza della Chiesa, della comunità cristiana.

Alla Chiesa (questa qui!) Gesù affida un compito importante: andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura.

Non soltanto ad ogni uomo, ma ad ogni creatura, come se l’intera creazione necessitasse di buone notizie. Ad ogni creatura, anche a chi sembra avere smarrito l’umanità che dovrebbe contraddistinguerci. Siamo chiamati ad annunciare il Vangelo, la buona notizia che Cristo è l’immagine del Padre, che ci ha rivelati chi è veramente Dio e chi siamo noi.

Di quante “buone notizie” abbiamo bisogno, specialmente in questi tempi! Noi Chiesa siamo chiamati ad alzare lo sguardo in alto e in altro, a fissare la nostra attenzione sulla speranza di un mondo rinnovato in Cristo. Non come un Regno terreno, come ingenuamente ancora sperano alcuni fra i discepoli allora (e oggi), ma nella consapevolezza che in questo mondo siamo chiamati a rendere presente il Signore nella nostre comunità avamposti della pienezza del Regno. A noi il Signore affida il Vangelo, come un tesoro custodito in fragili vasi di creta, a noi chiede di renderlo presente, al di là e al di dentro delle nostre contraddizioni.

Segni

Gesù risorto è riconosciuto dai segni: la voce per Maria di Magdala, le bende per Pietro e Giovanni, il pane spezzato per i due di Emmaus, la pesca per i discepoli a Cafarnao.

Gesù risorto è riconosciuto nell’opera dei suoi discepoli attraverso dei segni. Segni concreti, certo, ma anche e soprattutto segni da leggere in chiave spirituale.

Nel mio nome scacceranno demòni, dice il Signore, il diavolo è colui che divide, che crea schizofrenia, che ci separa da Dio e dagli altri, dal nostro vero “io”. Il Vangelo riporta unità nell’uomo, propone un modello di umanità che risolve le proprie contraddizioni e diventa modello della novità del credente. Quante volte ho visto persone divise in loro stesse ritrovare pace in Cristo!

Parleranno lingue nuove, non il linguaggio della violenza, del profitto a tutti i costi, dello scoraggiamento. Lingue nuove che mettono d’accordo i popoli, che attraversano e superano le ideologie e i confini culturali. Quante volte ho visto le parole nuove del Vangelo convertire le situazioni di degrado e sofferenza!

Prenderanno in mano serpenti, non abbiamo paura degli altri, non vediamo nemici ovunque, sappiamo che dentro ogni persona abita la scintilla di Dio. Il cristiano non vede nemici accanto a sé ma dentro di sé e questi combatte, dialogando con quelli. Quante volte ho visto uomini di pace dimorare in mezzo alla violenza più feroce portando una voce di speranza!

Se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, chi crede può stare in mezzo all’ambiente avvelenato del nostro mondo conservando un cuore integro, orientato a Cristo. La vita della comunità, la preghiera quotidiana, un pensiero sano, ci aiutano a vivere senza perdere la fede, senza acquistare una mentalità mondana negativa. Quante volte ho visto cristiani dimorare nei luoghi abbandonati dai grandi del mondo, nelle discariche della storia!

Imporranno le mani ai malati e questi guariranno, lo Spirito, primo dono ai credenti, guarisce ogni nostra malattia interiore, ci rende liberi, ci salva. Quante persone ho visto recuperare la vita che pensavano di avere perso dopo avere incontrato e accolto il vangelo!

Ve ne do atto: è molto più evidente notare l’assenza del Maestro nei nostri gesti piuttosto che la presenza ma mi fido. Mi fido: vedendo la tenerezza e l’amore di una catechista, la generosità di un educatore, la presenza discreta accanto al letto di un ammalato io vedo Gesù Risorto asceso, e ne invoco il ritorno, ne accellero – secondo una bellissima interpretazione rabbinica – la venuta.

Dio è presente, per sempre, è il nostro sguardo a dover guarire, a doversi – finalmente – convertire alla gioia.

Perciò, ora, necessitiamo del dono dello Spirito: per vedere.

Gli alberi

Il nonno teneva per mano il nipotino e indicava i poderosi alberi del viale. Raccontava che niente è più bello di un albero. “Guarda, guarda gli alberi come lavorano!” “Ma che cosa fanno, nonno?” “Tengono la terra attaccata al cielo! Ed è una cosa molto difficile. Osserva questo tronco rugoso. È come una grossa corda. Ci sono anche dei nodi. Alle due estremità i fili della corda si dividono e si allargano per attaccare terra e cielo. Li chiamiamo rami in alto e radici in basso. Sono la stessa cosa. Le radici si aprono la strada nel terreno e allo stesso modo i rami si aprono una strada nel cielo. In entrambi i casi è un duro lavoro!”. “Ma, nonno, è più difficile penetrare nel terreno che nel cielo!” “Eh no, bimbo mio. Se fosse così, i rami sarebbero belli dritti. Guarda invece come sono contorti e deformati dallo sforzo. Cercano e faticano. Fanno tentativi tormentosi più delle radici”. “Ma chi è che fa fare loro tutta questa faticaccia?” “E’ il vento. Il vento vorrebbe separare il cielo dalla terra. Ma gli alberi tengono duro. Per ora stanno vincendo loro”.

È questo il duro lavoro della nostra fede: tenere il cielo attaccato alla terra.